Guida introduttiva di libcom

Una serie di articoli introduttivi scritti o compilati da libcom.org che spiegano chiaramente argomenti e temi chiave da una prospettiva comunista libertaria.

Submitted by Ed on May 31, 2017

Capitalismo: un'introduzione

La breve introduzione di libcom.org al capitalismo e come funziona.

Submitted by Ed on May 31, 2017

Di base, il capitalismo è un sistema economico basato su tre cose: il lavoro salariato (lavorare in cambio di un salario), la proprietà privata o il controllo dei mezzi di produzione (per esempio le fabbriche, i macchinari, le fattorie e gli uffici) e la produzione finalizzata allo scambio e al profitto.

Sebbene alcune persone possiedano dei mezzi di produzione, o capitale, ciò non è altrettanto vero per la maggior parte di noi, e così per sopravvivere dobbiamo vendere la nostra capacità lavorativa in cambio di un salario o altrimenti arrangiarci con i sussidi. Il primo gruppo di persone è la classe capitalista o “borghesia”, nel gergo marxista, il secondo gruppo è la classe lavoratrice o “proletariato”.

Il capitalismo si basa su un processo semplice: il denaro viene investito per generare altro denaro, e quando viene utilizzato in questo modo, viene detto capitale. Per esempio, quando un’impresa usa i suoi profitti per assumere nuovi impiegati o per aprire nuove sedi, cioè per generare ulteriori introiti, il denaro si comporta da capitale. Se esso aumenta (o l’economia si espande), si parla di “accumulazione del capitale”, che è la forza motrice dell’economia.

Coloro che accumulano capitale riescono tanto meglio nel loro scopo quanto riescono a scaricarne i costi sugli altri; se le imprese possono tagliare i costi non curandosi dell’ambiente, o attraverso manodopera sottopagata, lo faranno senz’altro: il catastrofico cambiamento climatico e la povertà diffusa sono perciò segni del normale funzionamento del sistema. Inoltre, per far sì che il denaro generi altro denaro, sempre più cose devono poter essere commerciabili. In questo modo, la tendenza è che qualsiasi cosa, dagli oggetti di ogni giorno alle sequenze di DNA, alle emissioni di diossido di carbonio – e, in modo cruciale, la nostra capacità di lavorare – si trovi ad essere mercificata.

Ed è quest’ultimo punto –la mercificazione delle nostre abilità creative e produttive, della nostra capacità lavorativa– che racchiude il segreto dell’accumulazione del capitale. Il denaro non produce ancora più denaro per magia, ma per mezzo del lavoro che svolgiamo ogni giorno.

In un mondo in cui tutto è in vendita, abbiamo bisogno di qualcosa da offrire per poter acquistare le cose di cui abbiamo bisogno. Chi tra noi non ha niente da dare tranne che la propria capacità lavorativa, deve vendere questa abilità a coloro che possiedono le fabbriche, gli uffici, ecc.

E, ovviamente, le cose che produciamo lavorando non sono nostre, ma appartengono ai nostri capi.

Inoltre, a causa dei lunghi orari di lavoro, degli incrementi nella produttività etc., produciamo molto più di quanto è necessario per farci andare avanti come lavoratori. Difficilmente i nostri salari eguagliano il costo dei prodotti necessari a mantenerci in vita e abili al lavoro ogni giorno (ecco perché, alla fine del mese, il nostro conto bancario raramente si discosta da quello del mese precedente). Il capitale viene accumulato, cioè viene creato un profitto, proprio attraverso la differenza che esiste tra i salari che ci vengono pagati e il valore che creiamo con la nostra fatica.

La differenza tra quello che ci pagano e la ricchezza che creiamo è chiamato “plusvalore”. L’estrazione di plusvalore da parte dei datori di lavoro è la ragione per la quale riteniamo il capitalismo un sistema basato sullo sfruttamento, lo sfruttamento della classe lavoratrice.

Questo processo è essenzialmente lo stesso per tutto il lavoro salariato, non solo per quello relativo alle imprese private. Anche i lavoratori del settore pubblico devono fare i conti con continui attacchi ai loro salari e alle loro condizioni di lavoro volti a ridurre i costi e massimizzare i profitti, condizione che d’altra parte si verifica in tutta l’economia.

L’economia capitalista si basa inoltre sul lavoro non pagato della maggior parte delle lavoratrici donne.

La competizione

Per poter accumulare capitale, il nostro capo deve competere nel mercato con i capi di altre imprese. Nessuno di loro può permettersi di ignorare le forze del mercato, o perderebbero terreno nei confronti dei loro rivali, perderebbero soldi, fallirebbero, verrebbero rilevati e cesserebbero infine di essere i nostri padroni. Perciò persino gli imprenditori non hanno il controllo del capitalismo, poiché lo possiede solo il capitale stesso, ed è per questo motivo che possiamo parlare del capitale come se avesse una volontà o interessi propri, ed è anzi più preciso che parlare dei padroni in sé.

Sia i padroni che i lavoratori vengono così alienati da questo processo, ma in modi differenti. Mentre dalla prospettiva dei lavoratori, la nostra alienazione è dovuta al fatto che veniamo controllati dai nostri capi, il padrone vive la propria attraverso le impersonali forze del mercato e della competizione con altri imprenditori.

Per questo motivo, padroni e politici sono impotenti nei confronti delle “forze di mercato”: ognuno deve agire in modo da contribuire all’accumulazione continua (e in ogni caso ci riescono piuttosto bene!). Non possono agire nei nostri interessi, dal momento che ogni loro concessione nei nostri confronti aiuterebbe la concorrenza a livello nazionale o internazionale.

Così, per esempio, se una casa produttrice sviluppa una nuova tecnologia per produrre automobili che raddoppia la produttività, essa può licenziare metà dei lavoratori, incrementare i propri profitti e ridurre il prezzo delle automobili in modo da tagliar fuori la competizione.

Se un’altra impresa volesse comportarsi bene con i suoi impiegati e non licenziare nessuno, prima o poi verrebbe scacciata dagli affari o rilevata dai suoi concorrenti più spietati; deve quindi introdurre nuovi macchinari ed effettuare licenziamenti per restare competitiva.

Naturalmente, se alle imprese venisse dato il via libera a fare ciò che gli pare, si svilupperebbero ben presto dei monopoli che soffocherebbero la competizione, portando al blocco totale del sistema. Lo Stato interviene quindi per conto degli interessi a lungo termine del capitale, considerato nel suo insieme.


Lo Stato

La funzione primaria dello Stato in una società capitalista è quella di preservare il sistema capitalistico e di favorire l’accumulazione del capitale.

In questo senso lo Stato si serve della violenza e di leggi repressive contro la classe lavoratrice, per esempio, introducendo norme anti-sciopero o mandando polizia e esercito a reprimere scioperi e manifestazioni, quando essa tenta di far valere i propri interessi nei confronti del capitale.

Ad oggi, il tipo di Stato “ideale” sotto il capitalismo [n.d.t. per il capitalismo stesso] è quello liberal-democratico; tuttavia per permettere l’accumulazione, talvolta vengono usati da parte del capitale diversi sistemi politici: il capitalismo di Stato nell’URRS e il fascismo in Italia e in Germania sono due di questi modelli, necessari alle autorità di quel periodo per cooptare e distruggere movimenti dei lavoratori molto forti.

Quando gli eccessi dei padroni provocano un contrattacco da parte dei lavoratori, lo Stato a volte affianca la repressione con certi interventi volti a far sì che gli affari continuino come al solito, senza interruzioni: per questa ragione esistono leggi nazionali e internazionali che proteggono i diritti dei lavoratori e dell’ambiente. Generalmente la forza e l’applicazione di queste leggi, in ogni tempo e luogo, variano in relazione al rapporto di forza tra i datori di lavoro e i dipendenti. Per esempio, in Francia, dove i lavoratori sono meglio organizzati e più militanti, la settimana lavorativa non può superare un massimo di 35 ore. Nel Regno Unito, dove i lavoratori sono meno combattivi, il massimo è di 48 ore, e negli Stati Uniti dove è ancora meno probabile che i lavoratori scendano in sciopero non c’è alcun tetto massimo.

Storia

Il capitalismo viene presentato come un sistema “naturale”, creato (un po’ come le montagne o le terre emerse) da forze che vanno oltre il controllo umano, cioè come un sistema economico che deriva in ultima analisi dalla natura umana. Tuttavia non è stato creato da “forze naturali”, ma attraverso l’uso spietato e massiccio della violenza su scala mondiale.

Prima, nei paesi “avanzati”, la recinzione dei terreni costrinse i contadini che vivevano in modo autosufficiente nelle terre comuni a trasferirsi nelle città per lavorare nelle fabbriche. Ogni tipo di resistenza fu distrutta e le persone che resistevano all’imposizione del lavoro salariato vennero colpite dalle leggi sul vagabondaggio e imprigionate, torturate, deportate o giustiziate. In Inghilterra sotto il solo regno di Enrico VIII vennero giustiziate per vagabondaggio 72.000 persone.

Più tardi il capitalismo si diffuse in tutto il mondo per mezzo delle invasioni e delle conquiste delle potenze imperialiste occidentali. Intere civiltà vennero brutalmente annientate, costringendo le comunità a lasciare la propria terra e a sottomettersi al lavoro salariato. Gli unici paesi che evitarono la conquista furono quelli – come il Giappone – che adottarono il capitalismo per conto proprio, in modo da competere con le altre potenze imperiali. Ovunque il capitalismo si sviluppò i contadini e i primi operai resistettero, ma furono infine sopraffatti dal terrore di massa e dalla violenza.

Il capitalismo non è il frutto di una serie di leggi naturali che derivano dalla natura umana: fu diffuso attraverso la violenza organizzata delle élite. Il concetto di proprietà privata della terra e dei mezzi di produzione potrebbe sembrarci ora come ora uno stato di cose naturale, tuttavia dovremmo ricordare che è un concetto umano imposto con la conquista. In modo simile, l’esistenza di una classe di persone che non hanno niente da vendere eccetto che la propria forza lavoro non è qualcosa che esiste da sempre, poiché le terre comuni, condivise da tutti, vennero sottratte con la forza, e i diseredati vennero costretti a lavorare per un salario sotto la minaccia della fame o persino dell’esecuzione.

Non appena il capitale si è espanso, ha creato una classe lavoratrice globale che consiste nella maggior parte della popolazione mondiale, che sì sfrutta, ma da cui dipende. Come scrisse Karl Marx: “È la borghesia innanzitutto che produce soprattutto i suoi propri becchini.”.


Il futuro

Il capitalismo esiste come sistema economico dominante sul pianeta da poco più di 200 anni. In confronto al mezzo milione di anni dell’esistenza umana non è che un intoppo temporaneo: è infatti ingenuo pensare che durerà per sempre.

Esso dipende interamente da noi, la classe lavoratrice, e dal nostro lavoro che deve necessariamente sfruttare, perciò sopravviverà soltanto finché glielo permetteremo.

Comments

Classe: un'introduzione

Una spiegazione di ciò che intendiamo noi da libcom.org quando usiamo la parola "classe" e termini correlati come "classe lavoratrice" e "lotta di classe".

Submitted by Ed on May 31, 2017

Introduzione

La prima cosa da dire è che ci sono diversi modi di riferirsi alla classe. Spesso quando le persone ne parlano, stanno utilizzando delle etichette socio-culturali. Per esempio: alle persone del ceto medio piacciono i film stranieri, alla classe lavoratrice piace il calcio, a chi appartiene alle classi benestanti piacciono i cappelli a cilindro, e così via.

Tuttavia, un altro modo di parlare di classe è quello che si basa sulla rispettiva situazione economica delle classi. Noi ci riferiamo ad essa in questi termini perché lo riteniamo fondamentale per comprendere come funziona la società capitalista, e di conseguenza, cosa noi possiamo fare per cambiarla.

È importante sottolineare che la nostra definizione di classe non serve a classificare gli individui o a confinarli entro determinate categorie, ma serve piuttosto a comprendere quali forze danno forma al nostro mondo, perché i nostri capi e politici si comportano in un certo modo, e cosa possiamo fare per migliorare le nostre condizioni.

Classe e capitalismo

Allo stato attuale, il sistema economico che domina il mondo è il capitalismo.

Il capitalismo è essenzialmente un sistema basato sull’autoespansione del capitale: merci e denaro che producono ancora più merci e ancora più denaro.

Ciò non accade per magia, ma attraverso il lavoro umano. Considerando il lavoro che svolgiamo, veniamo pagati solamente per una frazione di ciò che produciamo. La differenza tra il valore che produciamo e la somma che ci viene pagata in forma di salario è il “plusvalore” che abbiamo prodotto. Questo viene trattenuto dai nostri padroni come profitto, per poi essere o reinvestito per produrre ulteriore denaro o usato per comprare piscine o pellicce o che altro.

Per far sì che ciò avvenga, deve essere creata una classe di persone che non possieda niente che potrebbe essere utilizzato per produrre denaro, come ad esempio gli uffici, le fabbriche, i terreni agricoli o altri mezzi di produzione. Essa deve quindi essere costretta a vendere la propria capacità lavorativa per poter comprare i beni ed i servizi essenziali di cui necessita per sopravvivere. Questa classe è la classe lavoratrice.

Perciò ad un estremo dello spettro c’è questa classe, con nient’altro da vendere se non la propria forza lavoro. All’altro estremo, ci sono coloro che possiedono il capitale necessario ad assumere lavoratori che gli permettano di espandere ulteriormente il proprio capitale. Gli individui che vivono all’interno della società rientrano in un qualche punto tra questi due estremi, ma ciò che è più importante da un punto di vista politico non è tanto la posizione degli individui ma la relazione sociale tra le classi.

La classe lavoratrice

Dunque la classe lavoratrice, o “proletariato”, come viene chiamata a volte, è la classe che per sopravvivere è costretta a lavorare in cambio di un salario, o a chiedere sussidi se non riesce a trovare lavoro o se siamo troppo malati o vecchi per lavorare. Vendiamo il nostro tempo e le nostre energie a un padrone per soddisfare il suo interesse.

Il nostro lavoro è il fondamento di questa società. Ed è il fatto che questa società si basa sulla nostra fatica, mentre allo stesso tempo ci spreme continuamente in modo da massimizzare i profitti, che la rende vulnerabile.

La lotta di classe

Quando siamo al lavoro, il nostro tempo e la nostra attività non ci appartengono. Dobbiamo obbedire agli orari prefissati, ai cartellini, ai dirigenti, alle scadenze e agli obiettivi dell’impresa.

Il lavoro occupa la maggior parte delle nostre vite: spesso vediamo i nostri capi più di quanto vediamo i/le nostr* amic* o partner. Anche quando ci sono parti del nostro impiego che apprezziamo, lo vediamo come qualcosa che ci è estraneo, sul quale abbiamo ben poco controllo. Questo è vero sia che ci riferiamo alle questioni pratiche del lavoro concreto che svolgiamo, sia che ci riferiamo all’ammontare di ore di lavoro, di pause, di tempo libero ecc.

Un lavoro che ci viene imposto in questo modo ci induce a ribellarci.

I datori di lavoro e i padroni vogliono estrarre la massima quantità di lavoro da noi, per il maggior tempo possibile e per la paga più bassa. Noi, d’altra parte, vogliamo essere in grado di goderci le nostre vite: non vogliamo essere troppo carichi di lavoro e vogliamo lavorare per meno ore e per una paga più alta.

Questo antagonismo è centrale nel capitalismo. Tra queste due parti è un continuo tira e molla: i datori di lavoro tagliano le paghe, incrementano le ore di lavoro e aumentano i ritmi. Ma noi cerchiamo di resistere: sia di nascosto e individualmente, prendendocela comoda, ritagliandoci momenti in cui poter prendere una pausa e scambiare due parole coi colleghi, dandoci per malati, lasciando prima il posto di lavoro. Oppure possiamo resistere apertamente e collettivamente con scioperi, rallentamenti nella produzione, occupazioni, ecc.

Questa è la lotta di classe: il conflitto tra coloro di noi che sono costretti a lavorare per un salario e i nostri padroni e governi, a cui ci si riferisce spesso con il termine di classe capitalista, o “borghesia” in gergo marxista.

Resistendo all’imposizione del lavoro, affermiamo che le nostre vite sono più importanti dei profitti dei nostri padroni. Ciò attacca la vera natura del capitalismo, nel quale la ragione più importante per fare ogni cosa è il profitto, e punta alla possibilità di un mondo senza classi e senza mezzi privati di produzione. Siamo la classe lavoratrice che resiste alla propria esistenza. Siamo la classe lavoratrice che lotta contro il lavoro e le classi.

Oltre il luogo di lavoro

La lotta di classe non avviene solamente sul luogo di lavoro. Il conflitto di classe si manifesta in molti aspetti della vita.

Per esempio, un’abitazione accessibile è qualcosa che riguarda tutti i lavoratori. Tuttavia, accessibile per noi significa poco redditizia per loro. In un’economia capitalista, spesso ha più senso costruire condomini di appartamenti di lusso, anche se decine di migliaia di persone sono senzatetto, piuttosto che costruire abitazioni nelle quali possiamo permetterci di vivere. Perciò le lotte per difendere le case popolari o per occupare proprietà disabitate nelle quali vivere, sono parte della lotta di classe.

In modo analogo l’assistenza sanitaria può rivelarsi un luogo del conflitto di classe: i governi e le aziende private cercano di ridurre le spese sanitarie con tagli ai bilanci e introducendo ticket sui servizi in modo da far gravare l’onere dei costi sulla classe lavoratrice, laddove noi vogliamo le migliori cure mediche al più basso costo possibile.

La “classe media”

Mentre gli interessi economici dei capitalisti sono in diretta contrapposizione a quelli dei lavoratori, una minoranza della classe lavoratrice se la passa meglio del resto o possiede un qualche potere sul resto dei lavoratori.

Quando si parla di storia e di come avviene il cambiamento sociale, per comprendere il comportamento di gruppi differenti può essere utile riferirsi a questa parte del proletariato con il termine di “classe media”, nonostante questa non costituisca una classe economica distinta.

La lotta di classe può talvolta essere fatta deragliare permettendo la creazione o l’espansione di una classe media: Margaret Thatcher incoraggiò la casa di proprietà vendendo a basso costo le case popolari nel Regno Unito durante le grandi lotte degli anni ’80, perché sapeva che i lavoratori sono meno propensi a scioperare se hanno un mutuo, e permettendo ad alcuni lavoratori di migliorare le proprie condizioni su un livello individuale, anziché collettivo; mentre in Sud Africa la creazione di una classe media nera è servita a sviare la lotta dei lavoratori quando l’apartheid è stata rovesciata, consentendo una limitata mobilità sociale e dando ad alcuni lavoratori neri una posizione nel sistema.

I padroni cercano sempre qualsiasi modo per dividere la classe lavoratrice, sia materialmente che psicologicamente, come ad esempio attraverso scale salari o status professionali, di razza e di genere.

Vorremmo sottolineare di nuovo che utilizziamo queste definizioni di classe per comprendere le forze sociali che agiscono nella nostra società, e non per applicare etichette agli individui o per determinarne il comportamento in determinate situazioni.

Conclusioni

Parlare di classe in termini di politica non è una questione di poco conto, ma a che fare con i conflitti che stanno alla base e che definiscono il capitalismo: chi di noi deve lavorare per vivere contro coloro che traggono profitto dal lavoro che facciamo. Lottando per i nostri interessi e per i nostri bisogni contro le imposizioni del capitale e del mercato, poggiamo le basi per un nuovo tipo di società, una società fondata sul soddisfacimento diretto dei nostri bisogni: una società comunista libertaria.

Comments

Stato: un'introduzione

Una breve introduzione a ciò che noi di libcom.org intendiamo quando si fa riferimento allo stato e come pensiamo che dovremmo relazionarci con essa come lavoratori.

Submitted by Ed on August 7, 2017

Gli stati si presentano in molte forme e dimensioni. Democrazie e dittature, quelli che forniscono molto welfare statale, quelli che non ne forniscono per nulla, qualcuno permette molta libertà individuale e altri non lo fanno.

Ma queste categorie non sono fissate nella pietra. Democrazie e dittature nascono e cadono, i sistemi di welfare vengono istituiti e smantellati mentre le libertà civili possono essere aumentate o erose.

In ogni caso, tutti gli stati condividono delle caratteristiche fondamentali che sostanzialmente li definiscono.

Cos'è lo Stato?

Tutti gli stati hanno le stesse funzioni di base in quanto sono l'organizzazione di tutte le istituzioni che si occupano di legiferare e applicare la legge in uno specifico territorio. E, la cosa più importante, un'organizzazione controllata e retta da una piccola minoranza di persone.

Pertanto, talvolta, uno stato consisterà in un parlamento con politici eletti, con un sistema giudiziario separato, un corpo di polizia e dei militari per imporre le loro decisioni. Altre volte, tutte queste funzioni sono compresse le une nelle altre, come per esempio nelle dittature militari.

Ma la capacità di prendere decisioni politiche e legali in una data area – e di imporle, con la violenza se necessario – è la caratteristica basilare di tutti gli stati. Cosa essenziale, lo stato si arroga il monopolio dell'uso legittimo della violenza, sia dentro il proprio territorio che fuori. In quanto tale, lo stato è al di sopra delle persone che governa e di tutto ciò che nel proprio territorio gli è soggetto.

Lo Stato e il capitalismo

In una società capitalista, il successo o il fallimento di uno stato dipende prevedibilmente dal successo del sistema capitalista al suo interno.

Sostanzialmente, questo significa che all'interno del proprio territorio, i guadagni vengono fatti così che l'economia possa espandersi. Il governo può così prendere la sua parte in tasse così da finanziare le proprie attività.

Se in un paese gli affari producono ricchi profitti, gli investimenti confluiranno in imprese remunerative, le aziende assumeranno lavoratori per trasformare i propri investimenti in ancora più denaro. Essi e i propri lavoratori pagheranno tasse su questo denaro che permetteranno allo stato di andare avanti.

Ma se i profitti diminuiscono, gli investimenti scorrono altrove, verso regioni dove i guadagni saranno più alti. Le aziende chiudono, i lavoratori vengono licenziati, le entrate delle tasse crollano e le economie locali collassano.

Pertanto promuovere il profitto e la rescita economica è il compito fondamentale di ogni stato in una società capitalista, incluse le economie a capitalismo di stato che si dichiarano "socialiste", come la Cina o Cuba.

L'economia

Poichè stimolare l'economia è un compito fondamentale di uno stato, diamo un occhio ai pilastri di un'economia capitalista prospera.

I lavoratori

Il bisogno primario un'economia capitalista sana è l'esistenza di un gruppo di persone abili al lavoro, per trasformare il denaro dei capitalisti in ancora più denaro: una classe lavoratrice. Ciò richiede che la maggioranza della popolazione sia stata spossessata delle terre e dei mezzi per sopravvivere, così che l'unica strada attraverso cui possa sopravvivere sia di vendere la propria capacità lavorativa a coloro che la possono comprare.

Questo spossessamento ha avuto luogo nei secoli passati in tutto il mondo. Agli inizi del capitalismo, i proprietari delle fabbriche ebbero un grosso problema nel portare i contadini, che producevano abbastanza per vivere dalla terra, ad andare e lavorare nelle fabbriche. Per permetterlo, lo stato costrinse i contadini ad abbandonare le terre comuni con la violenza, approvando leggi che proibivano il vagabondaggio e obbligandoli a lavorare nelle fabbriche sotto la minaccia della pena di morte.

Oggi, questo è già successo alla stragrande maggioranza delle persone intorno al mondo. In ogni caso, in alcuni luoghi del cosiddetto mondo "in via di sviluppo", lo stato gioca ancora il ruolo di chi deporta le persone per aprire nuovi mercati agli investitori.

La proprietà

Un secondo requisito fondamentale è il concetto di proprietà privata. Mentre i più sono stati spossessati per creare una classe lavoratrice, la proprietà di terra, edifici e fabbriche da parte di una piccola minoranza della popolazione potè essere mantenuta solo attraverso un corpus di violenza organizzata, uno stato. Ciò viene raramente menzionato dai sostenitori odierni del capitalismo, ma ciò nonostante, allora era qualcosa di risaputo. Come scrisse l'economista politico liberale Adam Smith:

Leggi e governo possono essere considerati in questo e in verità in ogni caso come un complesso per i ricchi che serve a opprimere i poveri, e preservare per sé stessi l'ineguaglianza dei beni che sarebbe altrimenti distrutta dagli attacchi dei poveri che, se non gli fosse impedito dal governo, presto ridurrebbero gli altri all'uguaglianza attraverso l'aperta violenza.

Ciò continua oggi, con leggi che proteggono la proprietà prima ancora che le persone. Per esempio, non è illegale per gli speculatori controllare i rifornimenti di cibo, creando scaristà così che i prezzi salgano mentre le persone muoiono di fame, ma è illegale che le persone affamate rubino cibo.

Cosa fa lo Stato?

Stati differenti svolgono compiti dfferenti, dal fornire pasti gratuiti nelle scuole al sostenere l'ortodossia religiosa. Ma come abbiam detto prima, la funzione primaria di tutti gli stati in una società capitalista è quella di proteggere e sostenere l'economia e il fare profitto.

In ogni caso, poiché le imprese sono in constante competizione le une con le altre, in quanto possono soltanto badare ai proprio interessi finanziari immediati, talvolta danneggiando l'economia nel suo insieme. Pertanto, lo stato deve talvolta entrare in giocoper provvedere agli interessi a lungo termine dell'economia nel suo compesso.

Così lo stato educa e addestra la futura forza-lavoro nei propri paesi e costruisce infrastrutture (ferrovie, sistemi di trasporto pubblic etc) per portarci al lavoro e trasportare beni facilmente. Gli stati talvolta proteggono le imprese nazionali dalla competizione internazionale tassandone i beni quando entrano nel paese o espandendo i mercati internazionalmente attraverso guerre o diplomazia con gli altri stati. Altre volte concedono agevolazioni fiscali e sussidi alle industrie, o talvolta le salvano per intero se sono troppo importanti per fallire.

Queste misure avolte cozzano con gli interessi di singole imprese o industrie. Comunque, ciò non cambia il fatto che lo stato egisce negli interessi dell'economia nel suo complesso. Infatti, di base può essere visto come un modo per regolare le dispute fra differenti capitalisti in merito al come agire.

Lo stato sociale

Alcuni stati forniscono molti servizi per proteggere le persone dagli effetti peggiori dell'economia. Nel qual caso, questo ha poco, se non niente, a che fare con la generosità dei politici; semmai l'ha con le pressioni che arrivan dal basso.

Per esempio, dopo la Seconda guerra mondiale, nel Regno Unito avvenne la costruzione dello stato sociale, fornendo sanità, abitazioni, etc a coloro che ne avevano bisogno. Tuttavia, questo avvenne per la paura diffusa fra i politici che la fine della guerra vedesse le stesse agitazioni rivoluzionarie successive alla Prima guerra mondiale, con eventi come le rivoluzioni tedesca e russa, il Biennio Rosso in Italia, gli ammutinamenti dell'Esercito Britannico etc.

Essa fu una paura giustificata. Verso la fine della guerra, i disordini nelle classi lavoratrici dei paesi belligeranti crescettero. I soldati che ritornavano, rimasti senza casa, si prendevano le abitazioni vuote mentre scioperi e rivolte si diffondevano. Il parlamentare conservatore Quintin Hogg riassunse l'umore che aleggiava fra i politici nel 1943, dicendo “se non diamo loro riforme, loro daranno a noi una rivoluzione.”

Questo non significa che le riforme sono 'contro-rivoluzionarie'. Significa solo che lo stato non sono il motore delle riforme; noi, la classe laoratrice – e più specificatamente, le nostre lotte – lo sono.

Quando le nostre lotte raggiungono un punto tale per cui non possono più venir ignorate o represse, lo stato passa a concedere riforme. Così passiamo i successivi cento anni sentendo persone parlare di che 'gran riformatore' fosse e giù di lì, mentre in realtà furono le nostre lotte che li costrinsero a farle.

Quando come classe siamo organizzati e militanti, le riforme sociali passano. Ma appena la militanza viene repressa o scompare, i nostri risultati vengono intaccati. I servizi pubblici vengono tagliati e svenduti pezzo per pezzo, gli aiuti sociali vengono ridotti, vengono introdotti o aumentati i pagamenti per i servizi e i salari vengono tagliati.

Per tanto, l'ammontare del welfare e la fornitura di servizi pubblici alla classe lavoratrice in una società banalmente segna l'equilibrio del potere fra capi e lavoratori. Per esempio, la classe lavoratrice francese ha un livello di organizzazione e militanza più alto rispetto a quella americana. Come risultato, i lavoratori francesi hanno generalmente migliori condizioni lavorative, una settimana lavorativa più corta, pensionamenti più veloci e migliori servizi sociali (per esempio sanità, educazione, etc), a prescindere che ci sia al potere un governo di destra o di sinistra.

Uno stato dei lavoratori?

Per decenni, in aggiunta alle lotte nei posti di lavoro e nelle strade, molti lavoratori hanno cercato di migliorare le loro condizioni attraverso lo stato.

I metodi particolari sono variati a seconda dei luoghi e dei contesti storici, ma sono riconducibili a due forme principali: creare o supportare partiti politici che si candidino alle elezioni e, teoricamente, agiscano per l'interesse dei lavoratori, o più radicalmente ottenere il potere politico per il partito attraverso la rivoluzione. Esamineremo brevemente due esempi rappresentativi che dimostrano la futilità di queste tattiche.

Il Partito Laburista

Il Partito Laburista nel Regno Unito venne creato dai sindacati nel 1906. Presto adottò l'obbiettivo dichiarato di creare una società socialista.

Tuttavia, confrontatosi con la realtà di trovarsi in parlamento, e di conseguenza con la dipendenza da una forte economia capitalista, abbandonò rapidamente i propri principi per supportare sistematicamente politiche avverse alla classe lavoratrice, sia all'opposizione che al governo.

Dal supportare il massacro imperialista della Grande Guerra, all'assassinio di lavoratori all'estero per mantenere l'Impero Britannico, al tagliare le paghe dei lavoratori, arrivò persino ad inviare l'esercito contro i lavoratori portuali in sciopero.

Con la classe lavoratrice sull'offensiva, i Laburisti concessero alcune riforme, così come gli altri partiti. Ma, esattamente come gli altri partiti, non appena i lavoratori si ritirarono, cominciarono a erodere le riforme e attaccare gli standard di vita. Per esempio, solo pochi anni dopo l'introduzione del servizio sanitario nazionale gratuito, il partito Laburista introdusse tariffe per le ricette mediche, poi per gli occhiali e i denti finti.

Come già delineato, questo non avvenne perché i membri e i funzionari del partito Laburista fossero persone malvagie, ma semplicemente perché in fondo erano politici, il cui compito principale era mantenere l'economia del Regno Unito competitiva sul mercato globale.

I Bolscevichi

In Russia nel 1917, quando i lavoratori e i contadini si sollevarono ed espropriarono le fabbriche e la terra, i Bolscevichi sostennero l'instaurazione di uno stato "rivoluzionario" dei lavoratori. Tuttavia, anche questo stato non riuscì a scrollarsi di dosso le sue funzioni primarie: la difesa violenta di un'elite, e lo sforzo di sviluppare ed espandere l'economia per mantenersi.

Il sedicente "stato dei lavoratori" si rivoltò contro la classe lavoratrice: la gestione delle fabbriche da parte dei singoli venne reintrodotta, gli scioperi vennero dichiarati fuori legge e il lavoro venne imposto con le armi. Lo stato arrivò al punto di liquidare chi, all'interno delle sue file, era in disaccordo con la sue nuova linea di condotta. Non molto tempo dopo la rivoluzione, molti degli originali Bolscevichi erano stati giustiziati dalle istituzioni governative che avevano contribuito a creare.

Contro lo Stato

Tutto questo non significa che i nostri problemi si risolverebbero se lo stato scomparisse domani. Significa, però, che lo stato non è separato dal conflitto che sta alla base della società capitalista: quello tra lavoratori e datori di lavoro. Ne fa parte, ed è schierato fermamente con i datori di lavoro.

Ogniqualvolta noi lavoratori abbiamo lottato per un miglioramento delle nostre condizioni, ci siamo trovati a combattere non solo i nostri capi, ma anche lo stato, che si è servito di polizia, tribunali, prigioni e a volte anche dell'esercito, pur di mantenere le cose come stavano.

Laddove i lavoratori abbiano cercato di usare lo stato, o di appropriarsene per usarlo nel loro interesse, hanno fallito - poichè la vera natura dello stato è intrinsecamente opposta alla classe lavoratrice. Sono riusciti soltanto a legittimare e rafforzare lo stato, che gli si è poi rivoltato contro.

Sono il nostro potere collettivo e la nostra volontà di arrestare l'economia a darci la possibilità di cambiare la società. Quando obblighiamo lo stato a concederci alcune riforme non stiamo solo ottenendo migliori condizioni di vita per noi. Le nostre azioni mirano a una nuova società, basata su principi differenti. Una società dove le nostre vite sono più importanti della loro "crescita economica". Un nuovo tipo di società dove non esistano minoranze privilegiate, che detengono ricchezze e devono difendersi da chi non ne ha; ovvero, una società dove lo stato non è necessario.

Lo stato ha bisogno dell'economia per sopravvivere e sosterrà sempre coloro che la controllano. Ma l'economia e lo stato sono basati sul lavoro che noi svolgiamo ogni giorno, e questo ci da il potere di fermarli e infine sbarazzarcene.

Comments

Lavoro: un'introduzione

La breve introduzione di libcom.org al lavoro, quello che pensiamo sia sbagliato e ciò che noi, come lavoratori, possiamo fare a questo proposito.

Submitted by Ed on June 4, 2017

Cosa non va nel lavoro?

Per la maggioranza di noi, gran parte delle nostre vite sono dominate dal lavoro. Anche quando non stiamo specificatamente lavorando, viaggiamo per lavoro, ci preoccupiamo per il lavoro, proviamo a riposarci dal lavoro nell'ottica di tornarci il giorno successivo, oppure cerchiamo solamente di non pensarci.

O ancora peggio non abbiamo un lavoro e la nostra maggiore preoccupazione è di trovarne uno. Oppure siamo una di quelle persone -principalmente donne- che badano alla casa o fanno lavori di cura che non contano per nulla come impieghi pagati.

Per molti di noi, non importa che lavoro facciamo, ma necessitiamo di denaro con cui vivere, e alla fine del mese i nostri conti correnti sono a mala pena diversi dal mese scorso. Passiamo così i nostri giorni controllando gli orologi, facendo il conto alla rovescia dei minuti che mancano prima di poter andare a casa, dei giorni prima del week-end, dei mesi prima delle vacanze…

Persino per quelli di noi che hanno un impiego in campi che gli piacciono, non controlliamo il nostro lavoro: è esso a controllare noi, e lo viviamo così come un qualcosa di alieno.

La maggior parte di noi non può decidere a che ora recarsi al lavoro o quando andarsene. Non ne controlliamo la tranquillità o il volume, che cosa produciamo o che servizi diamo o come lo facciamo.

Per esempio, a degli infermieri potrebbe piacere occuparsi dei propri pazienti, ma essere frustrati per carenza di posti letto, personale insufficente, turni punitivi e per l' essere arbitrariamente bersagliati dall'amministrazione; così come delle designers potrebbero apprezzare di essere creative, ma vedere la propria creatività ingabbiata: non verrebbe infatti dato libero sfogo alla possibilità di innovare come potrebbero volere, spesso per dover invece copiarea tutti gli effetti prodotti esistenti, che i loro capi sanno di poter vendere.

Paradossalmente, mentre milioni di persone sono sovraccariche di lavoro, appena in grado di far fronte a suoi pesanti carichi e alle sue lunghe ore, milioni di altre sono disoccupate e ne cercano disperatamente uno.
Globalmente, milioni di persone ogni anno rimangono uccise sul lavoro, mentre milioni di altre si ammalano e centinaia di milioni restano infortunate.

Inoltre, molto lavoro, magari estremamente difficile, noioso e/o pericoloso per i lavoratori e distruttivo per l'ambiente, non è nemmeno socialmente utile. Come nel manifatturiero, dove l' obsolescenza programmata fa si che i prodotti si rompano per far sì che le persone ne acquistino di nuovi, o intere industrie come quelle commerciali e pubblicitarie che esistono solo per persuadere a comprare più prodotti e lavorare di più per farlo.

Molti altri lavori utili sono sprecati per supportare attività socialmente inutili, come la produzione energetica usata per alimentare call center di telemarketing, la produzione di cosmetici e prodotti medici fasulli o l'industria delle armi, il cui unico prodotto è la morte.

Mentre automatizzazione, meccanizzazione e produttività incrementano continuamente, ore e anni di lavoro non diminuiscono. Infatti, in molti luoghi stanno aumentando, così come l'età pensionabile viene alzate e le ore di lavoro aumentate.

Perchè il lavoro è così?

Se ci sono così tanti problemi con il lavoro, perchè è così?

La ragione è semplice: viviamo in un'economia capitalista, dove questo sistema determina come il lavoro sia organizzato.

Come sottolineato nella nostra introduzione al capitalismo, l'essenza primaria dell'economia capitalista è l'accumulazione; denaro -il capitale- investito per diventare ancora più denaro.

E ciò è reso possibile dal nostro lavoro, che è la base dell'economia.

La base è che il nostro lavoro aggiunge valore al capitale iniziale, e il valore che aggiungiamo è maggiore dei nostri salri. Questo plusvalore si traduce nella crescita del capitale iniziale, che alimenta i profitti e la propria espansione.

Più bassi sono i salari, più duro lavoriamo e più lunghe sono le nostre ore, maggiore è il plusvalore. Questo spiega perchè i datori di lavoro del settore privato e pubblico e persino nelle cooperative cerchino continuamente di farci lavorare di più e più a lungo per paghe minori.

La disoccupazione di massa serve a mantenere bassi i salari di lavoratori dipendenti oberati di lavoro, poichè chi non ha paura di venir sostituito da chi è disoccupato, può chiedere stipendi migliori, migliori condizioni e orari lavorativi più brevi (questo è il motivo per cui il governo semplicemente non pone fine alla disoccupazione riducendo la lunghezza massima della settimana lavorativa).

Le imprese che sottraggono il maggior plusvalore -e pertanto i maggiori profitti e la maggiore espansione- hanno successo, mentre quelle che non lo fanno, falliscono.

Pertanto, se una compagnia o un'industria fanno profitto,crescono, e questo senza riguardi di ciò che è socialmente necessario, se è dannoso per l'ambiente o uccide i propri lavoratori.

Questa crescita si basa sul lavoro gratuito, come i lavori domestici o di cura, fra cui la riproduzione dei lavoratori nella forma di far nascere e crescere bambini -la prossima generazione di lavoratori- ed essendo a disposizione della forza lavoro corrente: fisicamente, emotivamente e sessualmente. Questo lavoro gratuito è perlopiù portato avantu da donne.

Cosa possiamo fare in merito?

Anche se la natura stessa del lavoro è determinata soprattutto dal sistema economico sotto cui viviamo, ci sono cose che possiamo fare -e facciamo- qui e ora come lavoratori per migliorare la nostra situazione.

Se il nostro lavoro è la base dell'economia, nonchè la base di profitti e crescita, in fin dei conti possediamo il potere di interromperlo (to disrupt it?), se non addirittura di prenderne infine il controllo per noi stessi.

Tutti i giorni resistiamo all'imposizione del lavoro, talvolta in modi piccoli, invisibili e individuali: di quando in quando arriviamo tardi, usciamo presto, rubiamo momenti per parlare con colleghi e amici, ci prendiamo il nostro tempo, ci diamo malati…

Mentre talvolta resistiamo in modi in modi più ampi, collettivi e conflittuali.

Attraverso azioni dirette, come smettendo di lavorare -ovvero scioperando-, blocchiamo gli ingranaggi della produzione e impediamo che i profitti vengano fatti; in questo modo possiamo difendere le nostre condizioni e far leva sui nostri capi per ottenere miglioramenti.

La classe lavoratrice unita, includendo disoccupati e chi fa lavori gratuiti, può lottare per migliorare altre condizioni, per esempio per un migliore welfare o contro il rincaro dei prezzi o di tasse regressive [tasse che aumentano per i redditi più bassi e diminuiscono per quelli più alti].

Nel 1800, nei paesi occidentali, le ore lavorative si aggiravano fra 12-14 ore al giorno, per sei o sette giorni alla settimana, in terribili condizioni senza vacanze o pensioni.

Affrontando l'enorme repressione dei padroni e dei governi, i lavoratori organizzatisi da sé, hanno lottato per decenni attraverso scioperi, occupazioni, lavorando con lentezza e persino rivolte armate e tentativi rivoluzionari. E infine hanno conquistato le condizioni molto migliori che la maggior parte di noi ha oggi: il fine settimana, vacanze pagate, orario di lavoro più corto…

Chiaramente, fuori dall'occidente, molti lavoratori hanno oggi esperienza di quelle condizioni "Vittoriane" e stanno attualmente lottando contro di esse.

Se ci organizziamo per affermare i nostri bisogni rispetto all'economia, possiamo migliorare ulteriormente le nostre condizioni. E se non lo faremo esse verranno erose fine a tornare al livello del 1800.

Conclusioni

Organizzandoci assieme, non solo miglioriamo le nostre vite nell'immediato, ma possiamo porre le fondamenta per un nuovo modello di società.

Una società dove non dover lavorare con lo scopo di far profitti che non vedremo mai o costruire un'economia "florida" che non adempie ai bisogni umani, ma dove poterci organizzare collettivamente per produrre beni e servizi necessari, come i lavoratori han fatto seppur brevemente in Russia nel 1917, in Italia nel 1920, in Spagna nel 1936 e in altri luoghi ancora, dove ci liberiamo del lavoro inutile e rendiamo tutti i compiti necessari il più possibile facili, piacevoli e interessanti.

Una società comunista libertaria.

Comments

Azione Diretta: un'introduzione

Una breve introduzione di libcom.org sull’ azione diretta e perché la sosteniamo e la preferiamo ad altre forme di attività politiche.

Submitted by Ed on August 7, 2017

Sono in molti ad essere preoccupati per la direzione che il mondo sta prendendo. Milioni o forse anche miliardi di persone, ad un certo punto della loro vita, cercano di risolvere i loro problemi attraverso l’azione politica, sia che si parli delle loro condizioni di lavoro o di disoccupazione, dell’ambiente, della lotta per la casa, della guerra o di molteplici altri problemi.

Perché “azione diretta”?

Le metodologie usate dalle persone per cambiare il mondo sono molte, troppo numerose per essere tutte menzionate qui; una delle più comuni fra queste è fare appello ai diversi “specialisti” quali politici, dirigenti sindacali, esperti legali e simili.

Nella realtà dei fatti questo non fa a caso nostro: i politici e i dirigenti sindacali hanno interessi diversi dai nostri, come praticamente chiunque abbia un salario a sei cifre o guadagni intorno ai 90-100.000€ all’ anno. Anche cercare protezione nella legge può lasciarci alla deriva, in quanto le leggi che ci proteggono oggi possono essere semplicemente cambiate domani, dando per assunto che siano state fatte rispettare in primo luogo!

Allo stesso modo, a volte decidiamo che se non altro possiamo almeno decidere di non “prendere parte” alle parti peggiori del capitalismo. Possiamo decidere per esempio di non comprare da certe aziende “non etiche” o persino coltivare noi stessi il nostro cibo.

Il problema di questo approccio è che rende la resistenza al capitalismo una scelta di stile di vita individuale, una scelta inoltre che non tutti possono permettersi. Per esempio, i prodotti “equo-solidali” o biologici sono spesso più costosi di quelli che non sono né uno né l’altro.

Più grave ancora è il fatto che questo approccio riconduce i problemi sociali a singoli aziende o governi che si sarebbero “comportati male” invece che considerarli come un qualcosa che coinvolge tutta la società, lasciandoci soli e isolati ad affrontare questi problemi attraverso le nostre scelte come consumatori. Tutto rimane come prima, con la sola differenza che sono altre aziende a fare business.

Lo sfruttamento continua, e non c’è nessuna quantità di anacardi equo-solidali che potrà cambiare le cose.

Per questa ragione prediligiamo l’azione diretta: in quanto, per fermare lo status quo, fa affidamento sulla forza collettiva piuttosto che su scelte di stile di vita individuali o sul fare appello a leader politici o sindacali.

In fin dei conti, vuole dire affidarsi gli uni agli altri, a coloro che vivono la nostra stessa situazione invece che ai cosiddetti “esperti” i quali non condividono i nostri stessi problemi.

Cosa si intende per azione diretta?

In poche parole, azione diretta è quando le persone agiscono per portare avanti i loro obbiettivi senza interferenze da parte di terzi. Questo vuole dire rifiuto della casta politica e dell’ appellarsi alla generosità dei datori di lavoro per migliorare la propria condizione. In fin dei conti non è neanche che non gli importi, è che traggono profitto dal rendere le nostre condizioni peggiori. Per approfondimenti leggere la nostra introduzione alla classe e lotta di classe.

Agiamo quindi noi stessi per forzare miglioramenti alle nostre condizioni. Così facendo affermiamo il nostro potere assumendo il controllo e prendendo responsabilità delle nostre azioni. L’ idea fondamentale dell’azione diretta è che possiamo dipendere solo l’uno dall’ altro per raggiungere i nostri obbiettivi.

L’azione diretta ha luogo quando veniamo a contatto con la “parte affilata” del capitalismo. Spesso questo avviene nel posto di lavoro, dove i padroni cercano di licenziarci o farci lavorare di più per uno stipendio più basso. Oppure può essere dove abitiamo, con politici che cercano di tagliare le spese rimuovendo i servizi pubblici.

Azione diretta nel posto di lavoro

Azione diretta nel posto di lavoro è praticamente qualsiasi azione che interferisce con l’abilità dei padroni di amministrare, così costringendoli a cedere e soddisfare le richieste dei lavoratori.

La più rinomata forma di azione diretta nel posto di lavoro è lo sciopero, ovvero quando i lavoratori lasciano il posto di lavoro fino a quando non ricevono quello che vogliono. Ciononostante, gli scioperi possono subire limitazioni dai burocrati sindacali o leggi anti-sciopero. Detto questo, i lavoratori spesso ignorano questi limiti e organizzano scioperi non ufficiali, noti anche come “a gatto selvaggio”, i quali riportano gran parte dell’impatto degli scioperi.

Nonostante ce ne siano troppe per essere qui elencate, altre forme di azione diretta adottate dai lavoratori sono:

  • Occupazioni; dove I lavoratori chiudono I padroni fuori dal posto di lavoro, effettivamente -provocando uno sciopero ma senza lasciare ai padroni la possibilità di rimpiazzare gli scioperanti con non-scioperanti (noti anche come “crumiri”).
  • Sciopero di rendimento; dove i lavoratori lavorano molto più lentamente del solito per garantire che venga fatto meno lavoro (e quindi il profitto è minore).
  • Scioperi Bianchi; un’ altra forma di azione sul posto di lavoro, dove i lavoratori seguono alla lettera ogni singola istruzione, ancora una volta in modo da rallentare il ritmo di lavoro.

Ci sono molti esempi di come questo genere di tattiche siano state usate con successo. Nel 1999 i lavoratori della metropolitana di Londra hanno organizzato uno “sciopero del piscio” contro il fatto che non gli era permesso tornare a casa una volta finito il loro turno di lavoro. Invece di pisciare dai binari come di solito, hanno insistito per essere accompagnati al bagno dal responsabile della sicurezza, il quale doveva portare con loro anche il resto della squadra (per ragioni di sicurezza). Al loro ritorno, qualcun altro si sarebbe “accorto” che anche lui doveva andare in bagno. In questo modo nessun tipo di lavoro veniva svolto!

A Brighton nel 2009, I netturbini hanno organizzato, con successo, uno sciopero a gatto selvaggio contro le prepotenze manageriali. Nello stesso anno i lavoratori della società Visteon a Londra e a Belfast hanno occupato le loro fabbriche per contrastare i loro licenziamenti.

L’ azione diretta nel posto di lavoro è stata spesso usata anche per fini politici. Nel 2008 per esempio gli scaricatori di porto in Sud Africa si sono rifiutati di scaricare armi che sarebbero state trasportate in Zimbabwe.

Allo stesso tempo, il successo dell’ azione diretta non è rilegato solamente al posto di lavoro e può essere applicata a diverse questioni.

Azione diretta nella nostra comunità

La guerra in Iraq del 2003 ha dato luogo a enormi manifestazioni, tra cui la più grande manifestazione della storia della Gran Bretagna svoltasi a Londra il 15 febbraio, dove più di un milione di persone hanno marciato, fradicie, fino a Hyde Park.

Non sorprende il fatto che l’evento sia stato perlopiù ignorato dai politici, che non hanno fatto caso a quanto eravamo infradiciati, infreddoliti , ma soprattutto numerosi.

Ciononostante, ci sono molti esempi dell’efficacia dell’azione diretta davanti ai posti di lavoro o all’ interno della comunità.

L’ esempio più famoso nella storia recente della Gran Bretagna è quello dell’Imposta pro-capite o “Poll Tax”. Quando Margaret Thatcher ha tentato di introdurre l’impopolare tassa nel 1989, più di 17 milioni di persone appartenenti alla classe operaia si sono rifiutate di pagarla. Gruppi di “non-pagamento” si sono diffusi tra le comunità di tutto il Regno Unito e reti locali anti-sfratto sono state instituite per affrontare gli ufficiali giudiziari. Entro il 1990, sia Margaret Thatcher che il Poll Tax furono sconfitti. Margareth Thatcher è stata persino ripresa piangere in televisione.

Simili campagne di “non-pagamento” hanno sconfitto con successo l’incremento delle tariffe sull’ acqua (1993-1996) e le tasse sui rifiuti (2003-2004) in Irlanda. Allo stesso modo, nel 2011, i lavoratori in Grecia hanno lanciato la campagna “Noi non pagheremo” contro l’ innalzamento dei prezzi, durante la quale persone si sono rifiutate di pagare il pedaggio autostradale, biglietti dei trasporti pubblici e alcuni dottori si sono persino rifiutati di far pagare i pazienti per le loro visite e cure.

Anche l’Europa continentale ha visto il diffondersi di “blocchi economici”. Questa tattica, usata soprattutto da studenti o lavoratori laddove gli scioperi non sono stati di grande efficacia, consiste nel bloccare le strade principali o nodi di trasporto. L’ idea è che impedendo alle persone di andare a lavoro e facendo rallentare il trasporto di beni e servizi, i dimostranti bloccano l’economia allo stesso modo di uno sciopero.

Centinaia di migliaia di persone hanno preso parte a tattiche come queste, distaccandosi da tattiche approvate dal governo che risultano inefficaci come i “gruppi di pressione” o marce da punto A a punto B.

Dobbiamo rifiutare l’idea di essere impotenti

L’ azione diretta è il rifiuto dell’idea che non siamo in grado di cambiare le nostre condizioni. I miglioramenti alle nostre vite non vengono dall’ alto. Devono essere (come lo sono sempre stati) risultati di lotte.

Ci viene spesso ribadito di come persone abbiano lottato per il diritto al voto. Tuttavia, raramente si fa menzione di come i lavoratori hanno lottato per lo stato sociale, per la casa, la sanità pubblica, salari e orari di lavoro decenti, per condizioni di lavoro sicure e pensioni.

L’ azione diretta è molto più di una tattica efficace per difendere o migliorare le condizioni sociali. È anche, come disse l’anarco-sindacalista Rudolf Rocker, la “scuola del socialismo” che ci prepara alla società libera per la quale molti di noi si battono.

Come diceva Bill Shankley, ex storico manager del Liverpool, riguardo la vita e il calcio, l’azione diretta richiede uno sforzo collettivo, ognuno che lavori per l’altro, insomma un aiuto reciproco per un obbiettivo comune. Utilizzandola, anche qualora commettessimo errori, impariamo dall’ esperienza che non dobbiamo lasciare le questioni agli “esperti” o ai politici professionisti. Quest’ultimo corso d’ azione, in quanto istituzionalizzato non ci può offre nient’ altro che tradimenti e promesse infrante oltre ad un profondo senso di impotenza.

L’ azione diretta ci insegna non solo a controllare le nostre stesse lotte, ma anche a costruire una cultura di resistenza che si unisce con altri lavoratori nelle loro battaglie.

Così come cresce la fiducia in noi stessi attraverso la forza della solidarietà, cresce anche la nostra fiducia nell’ abilità di cambiare il mondo. E come questo sentimento cresce, il nostro obbiettivo passa dal controllare le nostre lotte al controllare le nostre intere vite.

Comments

Ambiente: un'introduzione

Una sintesi ed esame della crisi ambientale e delle sue cause, e come pensiamo che i problemi possano essere risolti.

Submitted by Ed on August 23, 2017

La Terra sta affrontando una crisi ambientale che non ha precedenti nella storia umana. Questa crisi è causa di grandi sofferenze per l’umanità e, se continua, ne minaccia la sopravvivenza sul pianeta.

Problemi ambientali

I problemi ambientali attualmente più dannosi nel mondo sono:

  • Inquinamento atmosferico: causa il cambiamento climatico, un aumento diffuso delle temperature che modificherà violentemente gli andamenti climatici causando inondazioni, siccità e malattie in grado di uccidere milioni di persone. L’inquinamento atmosferico causa anche la distruzione dello strato dell’ozono (che agisce da filtro per i raggi solari più pericolosi e cancerogeni) e la diffusione di malattie respiratorie e non, che, secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, uccidono più di 6 milioni di persone all’anno.
  • Rifiuti solidi: gli ambienti acquatici e terrestri vengono avvelenati dallo scarico di rifiuti industriali dannosi (come il mercurio e le scorie nucleari). Inoltre, l’utilizzo di materiali non biodegradabili nei prodotti e nel packaging hanno ridotto molte aree del mondo in vaste discariche, che avvelenano e danneggiano le persone.
  • Erosione del suolo: è il risultato di fattori quali l’utilizzo di fertilizzanti chimici, pesticidi etc., insieme alla deforestazione e a utilizzi impropri di questa risorsa. Per queste ragioni il suolo si erode più velocemente di quanto non venga formato con i processi naturali, contribuendo alla povertà delle aree rurali. Alcuni scienziati sostengono che entro il 2030 rimarrà solo il 20% delle foreste mondiali, delle quali il 10% in condizione degradata.
  • Estinzione: piante e animali si stanno estinguendo con un ritmo più veloce di ogni altro periodo dopo la scomparsa dei dinosauri. Questa perdita di specie erode l’ecosfera da cui tutta la vita dipende.

    Cosa c'è dietro la crisi ambientale?

    Spesso si sente dire che la ragione per cui il mondo versa nelle attuali condizioni è che ci sono troppi esseri umani, o che la colpa è delle tecnologie moderna.

    Tuttavia, molte delle pratiche più dannose per l’ambiente non vengono compiute dalla maggioranza, né per il suo benessere, e non è vero che gran parte delle tecnologie industriali moderne siano intrinsecamente distruttive.

    Il problema non è che ci siano troppe persone o che la tecnologia sia intrinsecamente distruttiva. Il problema è nella società – in particolare nell’industria – per come è gestita oggi. In particolare, l’uso di combustibili fossili come il petrolio, il carbone o la benzina che attraverso l’emissione di diossido di carbonio (CO2) causano il riscaldamento globale che sta indirizzando il pianeta verso il disastro. Tuttavia, non deve necessariamente essere così.

    Molte tecnologie e sostanze dannose possono essere rimpiazzate. Invece di impiegare combustibili fossili, si può produrre energia da fonti rinnovabili quali il vento o la luce del sole. Le plastiche basate su prodotti petrolchimici non biodegradabili (usate ad esempio per i sacchetti o le borse di plastica) possono essere sostituite dalle plastiche basate sull’amido vegetale (che si disgregano senza problemi se lasciate all’aperto).

    Vivere in maniera ecosostenibile non significa necessariamente dover abbassare la qualità della vita. La causa della crisi ambientale non si trova nelle persone comuni che lasciano le luci accese per troppo tempo o usano un tipo di sapone sbagliato. Sono il sistema di produzione volto al profitto e gli sprechi che ne derivano ad essere insostenibili. La causa vera per la crisi ambientale va cercata nel capitalismo, nei governi e nella società che ha creato questi poteri.

    [h3]Capitalismo[/h3[
    Il capitalismo è un sistema di produzione incentrato sulla competizione di mercato e sul profitto, fonte di un’enorme quantità di rifiuti.

    Se le aziende vogliono sopravvivere alla competizione, devono massimizzare i loro profitti. Per massimizzare i profitti, bisogna minimizzare i costi. Così, come i salari e gli stipendi dei lavoratori, anche la protezione dell’ambiente e lo smaltimento dei rifiuti rappresentano un costo da tenere il più basso possibile.

    L’installazione di apparecchiature di sicurezza e il monitoraggio dell’uso di sostanze nocive rappresentano un costo e una riduzione del possibile profitto. Risulta più conveniente scaricare questo costo sulla società, in forma di inquinamento.

    Questo senza contare tutto ciò che viene prodotto in modo inefficiente, e gli sprechi che ne derivano. Un’enorme quantità di prodotti sono costruiti per rompersi, in modo da mantenere alte le vendite (la cosiddetta “obsolescenza programmata”). Beni inutili o inefficienti vengono propinati e venduti grazie a una forte pressione pubblicitaria, e spesso anche grazie alle politiche dei governi (come per le macchine private al posto di trasporti pubblici su larga scala). In più, le pubblicità ci spingono a sbarazzarci di oggetti ancora utili ma non più alla moda per comprarne altri.

    Non si può neanche dire che tutti i beni prodotti nel sistema capitalistico vengano consumati dalle persone comuni. A volte le aziende producono, per un dato prodotto, più di quanto possa essere venduto sul mercato, il che porterebbe al collasso dei prezzi e alla recessione. La soluzione dei capi è di distruggere o accumulare i beni “extra”, piuttosto che distribuirli a chi ne ha bisogno. Nel 1991, 200 milioni di tonnellate di grano vennero immagazzinate e rimasero invendute per preservare i prezzi. Tre milioni di tonnellate sarebbero bastati ad evitare la carestia in Africa per quell’anno – e la situazione attuale non è differente, dato che ogni anno circa la metà della produzione di cibo mondiale viene sprecata.

    Lo stato

    In una società capitalista, il successo o il fallimento di uno stato dipendono dal successo del capitalismo al suo interno. Di conseguenza, promuovere il profitto e la crescita dell’economia è il compito principale di ogni stato nella società capitalista.

    Lo stato non emanerà di propria volontà leggi per la protezione dell’ambiente e contro gli interessi delle aziende, perché non vuole diminuirne i profitti (e le sue entrate fiscali).

    In più, spesso si teme che forti leggi a difesa dell’ambiente rendano i Paesi “non attraenti per gli investimenti”. Per esempio, nel 1992 la presenza di grossi interessi in ballo in Olanda causò il blocco di una proposta di tassazione sulle emissioni di carbonio, in seguito alla minaccia di trasferire gli investimenti in altri paesi.

    Stando così le cose, l’ambiente non può essere salvato attraverso lo stato o l’elezione di un partito dei Verdi. I Verdi, come tutti i partiti di opposizione, fanno discorsi radicali finché non arrivano al potere, dopodiché si comportano come gli altri.

    In Germania, nel 2001, il partito dei Verdi era parte del governo: condannò le proteste contro il trasporto di scorie nucleari e fu congiuntamente responsabile della mobilitazione di 17000 poliziotti contro i residenti in protesta.

    Nel 2007 il partito dei Verdi Irlandesi, che in precedenza aveva supportato la campagna “Shell to Sea” contro l’estrazione di gas naturale nel mare a nord-ovest dell’Irlanda, entrò al governo. Cambiarono in fretta la loro posizione, e un loro membro supervisionò il progetto finché rimase in carica.

    Classe

    A un livello generale appare chiaro che la crisi ambientale riguarda tutti, e minaccia la sopravvivenza dell’intera razza umana.

    Tuttavia, per quanto la crisi ambientale sia una minaccia globale, le persone della classe lavoratrice vengono colpite più duramente. Siamo noi quelli che devono fare i lavori più pericolosi legati al degrado dell’ambiente e vivere nelle zone danneggiate dall’inquinamento, mentre chi ha più soldi può permettersi di traslocare.

    Per quanto sul lungo periodo una crisi ambientale globale interessi tutti, non tutti condividono un interesse immediato nel combatterla: i capi e lo stato guadagnano con i processi che danneggiano l’ambiente. Solo la classe lavoratrice ha un interesse diretto e immediato a difendere l’ambiente.

    I dibattiti mainstream di “tutela dell’ambiente contro posti di lavoro” devono essere rifiutati. Prima di tutto, perché quelli che lavorano in industrie distruttive per l’ambiente spesso vivono nelle stesse città che vengono danneggiate da quelle industrie. Quindi la loro salute, e quella dei loro amici e familiari, è in gioco, sia sul lavoro che a casa.

    In secondo luogo, perché l’interessamento di stato e datori di lavoro verso l’ambiente è assolutamente falso. Quando potranno guadagnare, sminuiranno gli aspetti ambientali dicendo che forniranno posti di lavoro. Quando ci saranno meno guadagni e l’importanza economica delle attività diminuirà, chiuderanno tutto dichiarando quanto fosse dannoso per l’ambiente e lasciando tutti in mezzo alla strada, come si è visto nel caso dell’ILVA.

    Come si può risolvere il problema?

    Poiché il capitalismo è un sistema intrinsecamente distruttivo, l’unico vero, definitivo modo di fermare la crisi ambientale è creare una società nuova, basata sulle necessità dell’uomo e non sul profitto.

    Tuttavia, questo non vuol dire che non si possa fare nulla nel frattempo. La crisi ambientale è stata generata dal capitalismo, dunque deve essere affrontata con una sfida a quest’ultimo. E, poiché lo stato è parte di questo sistema, solo l’azione di massa e dal basso può essere un metodo efficace.

    Per fare questo, l’ambientalismo deve relazionarsi ai bisogni quotidiani della nostra classe. È per questo che non vediamo utilità nell’ambientalismo astratto e separato dalla lotta di classe.

    Sul posto di lavoro

    In quanto produttori di tutto il benessere della società, i lavoratori sono in grado, attraverso l’azione nei punti di produzione, di brandire un’arma potente contro i capi.

    Dato che una buona parte dei danni all’ambiente derivano dall’industria, e che i lavoratori e le comunità sono le vittime principali dell’inquinamento, le lotte dei lavoratori per la salute e la sicurezza sono, spesso, la prima linea di difesa per l’ambiente.

    Ponendo il monitoraggio dei danni ambientali come parte della sanità e della sicurezza, colleghiamo la lotta per migliori condizioni di lavoro, la salute (sul lavoro e non) e l’ambiente. Possiamo esporre l’uso industriale di sostanze tossiche, pretendere l’utilizzo di prodotti riciclati e trovare delle alternative a prodotti dannosi per l’ambiente.

    Se hanno abbastanza potere sul lavoro, i lavoratori possono anche imporre la tutela dell’ambiente a industrie inquinanti. Negli anni ’70, per esempio, i lavoratori edili australiani imposero i “green bans”, rifiutandosi di lavorare a progetti dannosi per l’ambiente.

    Nelle comunità

    Una buona parte dell’attività ambientalista della classe lavoratrice si svolge a livello di comunità, ad esempio con le campagne per il miglioramento dei servizi di trasporto pubblici, cosa che ridurrebbe il bisogno di macchine private da parte degli individui.

    Un altro esempio di attività è l’interruzione di progetti dannosi per l’ambiente, prima che vengano sviluppati o costruiti. Nei primi anni ’90, nel Regno Unito, proteste contro la costruzione di strade si susseguirono in tutto il paese. Anche se molte furono infruttuose, il livello di sostegno da parte delle comunità fu tale che nel 1995 ben 300 progetti di strade, che avrebbero dovuto attraversare aree naturali o comunità, vennero cancellati.

    Nel 2012 gli abitanti di Shifang, nell’ovest della Cina, costrinsero il governo a rinunciare a un piano di costruzione di un enorme stabilimento per la lavorazione delle leghe del rame che molti temevano avrebbe portato a gravi problemi di inquinamento e salute.

    In Italia ci sono, attualmente, molti esempi di attività ambientalista dei lavoratori, come avviene nel movimento No TAV, che sta combattendo contro la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità attraverso le montagne del Piemonte, e che coinvolge intere comunità impegnate nell’azione diretta per la loro sopravvivenza.

    Conclusione

    Il degrado ambientale sta distruggendo larghe aree del pianeta e minacciando la sopravvivenza di tutte le specie, inclusa la nostra. Tuttavia questa situazione non è tanto il risultato di scelte sbagliate fatte dagli individui, quanto dell’organizzazione della società.

    Le aziende massimizzano i profitti se non devono preoccuparsi dell’ambiente, mentre i governi incoraggiano gli investimenti se non provano a imporre leggi severe.

    Il risultato è che la difesa dell’ambiente ricade sulla classe lavoratrice, dato che siamo gli unici che hanno un interesse immediato nel difenderlo. E mentre possiamo usare l’azione diretta per combattere la distruzione dell’ambiente dovremo, infine, usare la nostra forza collettiva per costruire un mondo nuovo, basato non più sull’implacabile ricerca di profitto ma sul soddisfacimento dei bisogni dell’uomo, compreso quello di un ambiente sano e salubre.

    Foto: Giuseppe Milo.

Comments

Comunismo libertario: un introduzione

Sciopero sociale, Roma, 14 Nov 2014.
Sciopero sociale, Roma, 14 Nov 2014.

Una breve introduzione a quello che noi di Libcom.org intendiamo per comunismo libertario, che cosa è e perchè pensiamo sia una buona idea.

Submitted by Ed on August 9, 2017

Introduzione

Quando si parla di comunismo si parla di due cose. In primo luogo di un modo di organizzare la società basato sul principio: “Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” e in secondo luogo di un vero e proprio movimento che si dirige in tale direzione in questo preciso momento a livello mondiale. In questo articolo si parlerà di questo, partendo da quest’ultima e meno conosciuta definizione.

Il vero movimento

Nella nostra introduzione al capitalismo descriviamo l’economia capitalista e facciamo notare come i bisogni del capitale, ovvero il profitto e l’accumulazione siano opposti ai nostri bisogni come classe lavoratrice.

I datori di lavoro cercano di tagliare gli stipendi, le pensioni, i posti di lavoro, incrementare le ore e il ritmo di lavoro e danneggiare l’ambiente. Dove possiamo, resistiamo, perché le condizioni in cui siamo costretti a vivere in questa economia ci spingono ad affermare i nostri bisogni in contrasto con quelli del capitale.

Questo avviene quando cooperiamo, quando usiamo l’azione diretta e la solidarietà per affermare i nostri bisogni, come quando organizziamo uno sciopero o ci adoperiamo per contrastare tagli di stipendi o carichi di lavoro più pesanti. Allo stesso tempo, attraverso queste azioni gettiamo le fondamenta per un nuovo tipo di società.

Una società basata sulla cooperazione, sulla solidarietà e che risponda ai bisogni umani – una società comunista.

Il comunismo come movimento è quindi una sempre presente tendenza alla cooperazione, all’ aiuto reciproco, all’ azione diretta e alla resistenza della classe lavoratrice in una società capitalista.

Talvolta, questa tendenza ha richiamato grandi numeri nella classe lavoratrice, in grandi ondate di conflitti sociali e militanza sul posto di lavoro, come nell’ America del dopoguerra nell’ondata di scioperi a sorpresa, l’autunno caldo in Italia del 1969, l’ inverno dello scontento in Inghilterra nel 1978 o la resistenza anti-austerity in Grecia che continua dal 2010.

A volte, questi conflitti sociali hanno causato vere e proprie esplosioni di eventi rivoluzionari. Per esempio a Parigi nel 1871, in Russia nel 1917, in Italia dal 1919 al 1920, in Ucraina nel 1921, in Spagna nel 1936 e in Ungheria nel 1956. Questi sono solo alcuni dei momenti in cui la classe lavoratrice ha provato, per mezzo dell’azione collettiva, di rimodellare la società in modo da fare i propri stessi interessi piuttosto che quelli dei padroni.

A ognuno secondo i propri bisogni…

Nel mondo non vi è di certo la mancanza di politici o gruppi politici che affermano di avere piani ben consolidati per creare una società più giusta. Tuttavia, il comunismo non è un qualcosa che può nascere dai decreti dei partiti politici o dei singoli politici ma può essere creato solo attraverso la partecipazione di massa e sperimentazione da parte dei lavoratori stessi.

E’ necessario ora far notare che il “comunismo” niente ha a che vedere con l’ex Unione Sovietica o le odierne Cuba e Corea del Nord. Questi ultimi sono essenzialmente società capitaliste con un solo capitalista, ovvero, lo stato. Allo stesso modo non ha niente a che vedere con la Cina, definitasi “comunista” dal partito dominante ma essendo, in realtà, uno degli stati capitalisti più di successo al mondo.

Nonostante ciò, nei diversi eventi rivoluzionari che hanno preso luogo nel corso della storia (alcuni dei quali sono stati precedentemente menzionati), la classe lavoratrice ha sperimentato con i diversi aspetti del mettere il comunismo in pratica. In questo modo, hanno stabilito i principi su cui una società comunista potrebbe essere organizzata e allo stesso tempo hanno dato esempi pratici di quello che possiamo ottenere se agiamo insieme negli interessi della nostra classe.

Senza Padroni

Al contrario del sistema capitalista che prevede la proprietà privata e il controllo dei mezzi di produzione (terra, fabbriche, uffici, ecc.) da parte di individui o dello stato, una società comunista è basata sulla proprietà e il controllo comune di quei mezzi. E invece di produrre per il mercato e il profitto, comunismo significa produrre per soddisfare i bisogni umani, tra cui il bisogno di un ambiente sicuro.

Siamo noi lavoratori che produciamo e gestiamo tutti I servizi necessari per vivere. Siamo noi che costruiamo le strade e le case, che conduciamo I treni, che ci prendiamo cura dei malati, che cresciamo I bambini, che produciamo cibo, che progettiamo il design dei prodotti, che produciamo i vestiti e insegniamo alle nuove generazioni.

E ogni lavoratore sa che spesso I padroni ci ostacolano più di quanto ci aiutino.

Gli esempi che dimostrano che I lavoratori sono in grado di mandare avanti le attività in maniera autonoma ed efficace sono molti. Infatti possono fare ciò molto meglio che in attività organizzate in modo gerarchico.

Un esempio recente sono le fabbriche che sono state occupate durante la rivolta in Argentina nel 2001, dove un terzo dell’industria del paese è passata sotto il controllo dei lavoratori. E storicamente, ci sono stati esempi ancora più grandi e diffusi.

Per esempio, durante la Guerra civile Spagnola del 1936, la maggior parte delle industrie situate nella Spagna rivoluzionaria sono passate sotto il controllo dei lavoratori e gestite collettivamente dagli stessi. Dove possibile, in alcune aree, i lavoratori si sono spinti ancora più vicini a una società comunista, abolendo la moneta e distribuendo gratis i beni non scarseggianti.

In Seattle, nel 1919 durante lo sciopero generale, la città è passata sotto il controllo e la gestione dei lavoratori, così come in Russia nel 1917, dove i lavoratori presero possesso delle fabbriche, prima che i Bolscevichi facessero rinstaurare l’autorità dei padroni.

Senza Salario

Comunismo significa anche una società senza denaro, dove le nostre attività e i nostri prodotti non prendono più forma di beni da vendere o comprare.

Il dubbio principale della maggior parte delle persone è: L’ essere umano è in grado di produrre abbastanza per la sua sopravvivenza senza la minaccia implicita dell’indigenza messa in atto dal sistema salariale.

Nella realtà dei fatti, è stato ampiamente dimostrato che non ci serve la minaccia dell’ indigenza o dell’ inedia per coinvolgerci in attività produttive.

Per gran parte della nostra storia, non abbiamo avuto né denaro ne lavoro retribuito in salari; ciononostante abbiamo sempre provveduto ad adempiere ai compiti necessari.

Nelle società di cacciatori e raccoglitori, per esempio, che erano per la stragrande maggioranza pacifiche e egalitarie, non vi era distinzione tra lavoro e gioco.

Anche al giorno d’oggi gran parte del lavoro necessario è svolto gratis. Nel Regno Unito per esempio, nonostante i lunghi turni di lavoro, le persone (specialmente le donne) impiegano un extra di tre o più ore in lavori domestici ogni giorno. Inoltre, quasi il 10% della popolazione svolge lavori di cura e il 25% degli adulti svolge attività di beneficenza almeno una volta al mese. In scala globale, il valore economico del lavoro non retribuito è stato stimato di 11 trilioni di dollari nel 2011.

Quasi ogni tipo di lavoro utile che si possa immaginare è svolto da qualcuno gratis, ovvero non come un “lavoro” retribuito, dimostrando che non sono strettamente necessari. Coltivare alimenti, prendersi cura dei bambini e dei malati, suonare musica, riparare automobili, pulire i pavimenti, discutere dei propri problemi agli altri, programmare i computer, fare i vestiti, progettare prodotti… la lista è infinita.

Alcuni studi rivelano come I soldi non siano una motivazione efficace per una buona prestazione in lavori complessi. Avere la libertà e il controllo di ciò che si fa e del come si fa e avere una ragione costruttiva e socialmente utile per fare ciò costituisce la motivazione migliore.

Movimenti come il “free software movement” dimostrano come organizzazioni collettive non gerarchiche volte a un obbiettivo socialmente utile possano essere superiori a organizzazioni gerarchiche a scopo di lucro e che le alle persone non serva l’incentivo del salario per produrre.

Inoltre, senza l’incentivo del profitto, ogni avanzamento tecnologico che porti alla maggiore efficienza del processo produttivo, invece di lasciare a casa i lavoratori e fare lavorare di più quelli che rimangono (come succede oggi), potrebbe portarci a lavorare un po' meno e ad avere un po' più tempo libero. Leggere la nostra “introduzione al lavoro” per più informazioni.

Senza uno Stato

Nella nostra introduzione allo stato definiamo il governo come "un'organizzazione controllata e retta da una piccola minoranza di persone… [con] l'abilità di prendere decisioni politiche e legali in una data area, e di imporle, anche con la violenza se necessario."

Senza divisioni fra datori e lavoratori, e ricchi e poveri, non ci sarebbe più bisogno di un corpo di violenza organizzata controllato da un piccolo numero di persone, come la polizia, per proteggere le proprietà dei ricchi ed obbligare alla povertà, al lavoro salariato e persino alla fame chiunque altro. E senza il bisogno di accumulare capitale o fare profitto non ci sarebbe più il bisogno di eserciti per conquistare nuovi mercati e nuove risorse.

Certo ci sarebbe ancora il bisogno di proteggere la popolazione da individui antisociali o violenti. Ma questo può essere fatto in un modo democratico e localizzato, attraverso un corpo che funzioni tramite mandandato che sia richiamabile e a rotazione, piuttosto che un'incontrollabile forza di polizia che quando brutalizza e persino uccide, quasi sempre rimane impunita.

Per prendere decisioni collettive, invece che una "democrazia rappresentativa" come i governi di molti paesi ad oggi, noi proponiamo una democrazia diretta. Una vera democrazia è più che il diritto di eleggere un pugno di (spesso ricchi) individui che prendano decisioni politiche per conto nostro per alcuni anni, mentre altre decisioni vengono prese senza alcun controllo nei consigli di amministrazione retti dalla "tirannia del mercato".

Possiamo controllare noi stessi le nostre lotte, partendo dai nostri colleghi attraverso assemblee nei luoghi di lavoro e nelle nostre comunità per poter arrivare assieme a cordinarci per grandi aree geografiche usando tecnologie per la comunicazione e consigli di lavoratori con delegati dotati di precisi mandati e richiamabili.

Così come possiamo organizzare le nostre lotte, possiamo anche in fine organizzare noi stessi la società, come la classe lavoratrice ha fatto tempo addietro. Per esempio, durante la rivolta ungherese del 1956, consigli dei lavoratori vennero istituiti per organizzare la gestione della società, come preteso dai lavoratori stessi che volevano un socialismo basato su una democrazia della classe lavoratrice. E più recentemente, fin dall'insurrezione del 1994, la regione messicana del Chiapas è stata retta indipendentemente dallo stato, attraverso una democrazia diretta senza leader e dove i mandati delle figure pubbliche sono limitati a due settimane.

Conclusioni

Molte persone potrebbero pensare che il comunismo suoni come una buona idea ma dubitare che possa funzionare nella pratica. Piuttosto, prima di tutto, è meglio chiedersi "il capitalismo funziona?".

Poichè miliardi di persone vivono in terribile povertà nel bel mezzo di ricchezze inimmaginabili e corriamo inesorabilmente verso una crisi ambientale, crediamo che la risposta sia un sonoro "no". E anche se nessun sistema sarà mai perfetto, crediamo che sia ampiamente provato che, per la maggioranza delle persone (anche per i ricchi che spesso non sono felici nonostente le loro ricchezze), una società comunista funzionerebbe molto meglio dell'attuale società capitalista.

Una società comunista non sarà senza problemi. Ma risolverebbe i maggiori problemi con cui ci confrontiamo oggi, come la diffusa povertà e la devastazione ecologica, permettendoci così di occuparci di questioni molto più interessanti.

Piuttosto che il bisogno di lavorare di più, produrre di più e accumulare di più, possiamo focalizzarci sul come lavorare di meno, far sì che lavoro di cui bisognamo sia più godibile, divertirci di più, essere più felici e giosi.

Invece che misurare il successo di una società attraverso il PIL, possiamo misurarlo attraverso il benessere e la felicità. Invece che relazionarci gli uni con gli altri come 'staff', 'clienti', 'supervisori' o 'competitori', possiamo farlo come esseri umani.

Coloro che stanno scrivendo o leggendo questo [materiale] potrebbero non vivere abbastanza da vedere una società pienamente comunista libertaria. Ma anche ora quello comunistico è un movimento reale - come lotte di tutti i giorni per far valere i nostri bisogni contro quelli del capitale - che migliora le nostre vite qui e ora e ci da una migliore chance di proteggere le nostre condizioni di vita e lavorative, tanto quanto [quelle] del pianeta, per noi stessi e le future generazioni.

Infatti è il comunismo come movimento reale - ovvero la lotta quotidiana per difendere e migliorare oggi le nostre condzioni - che pone le fondamenta per il comunismo come società basata sulla libertà e l'uguaglianza.

Il movimento che noi chiamiamo così è stato chiamato, in tempi e luoghi differenti, 'comunismo anarchico', 'comunismo libertario' o semplicemente 'socialismo' o 'comunismo'. Ciò che importa, in fin dei conti, non è il nome o l'etichetta ideologica ma la sua esistenza, non solo come un ideale futuro ma come incarnazione vivente dei nostri bisogni, dei nostri desideri e del nostro spirito di resistenza nelle nostre vite quotidiane. Questo spirito di resistenza esiste, ed è sempre esistito, in ogni società e sotto ogni regime in cui ci sono ingiustizia e sfruttamento; e con esso, la possibilità di un mondo basato sulla libertà e l'uguaglianza per tutti.

Comments