Classe: un'introduzione

Una spiegazione di ciò che intendiamo noi da libcom.org quando usiamo la parola "classe" e termini correlati come "classe lavoratrice" e "lotta di classe".

Submitted by Ed on May 31, 2017

Introduzione

La prima cosa da dire è che ci sono diversi modi di riferirsi alla classe. Spesso quando le persone ne parlano, stanno utilizzando delle etichette socio-culturali. Per esempio: alle persone del ceto medio piacciono i film stranieri, alla classe lavoratrice piace il calcio, a chi appartiene alle classi benestanti piacciono i cappelli a cilindro, e così via.

Tuttavia, un altro modo di parlare di classe è quello che si basa sulla rispettiva situazione economica delle classi. Noi ci riferiamo ad essa in questi termini perché lo riteniamo fondamentale per comprendere come funziona la società capitalista, e di conseguenza, cosa noi possiamo fare per cambiarla.

È importante sottolineare che la nostra definizione di classe non serve a classificare gli individui o a confinarli entro determinate categorie, ma serve piuttosto a comprendere quali forze danno forma al nostro mondo, perché i nostri capi e politici si comportano in un certo modo, e cosa possiamo fare per migliorare le nostre condizioni.

Classe e capitalismo

Allo stato attuale, il sistema economico che domina il mondo è il capitalismo.

Il capitalismo è essenzialmente un sistema basato sull’autoespansione del capitale: merci e denaro che producono ancora più merci e ancora più denaro.

Ciò non accade per magia, ma attraverso il lavoro umano. Considerando il lavoro che svolgiamo, veniamo pagati solamente per una frazione di ciò che produciamo. La differenza tra il valore che produciamo e la somma che ci viene pagata in forma di salario è il “plusvalore” che abbiamo prodotto. Questo viene trattenuto dai nostri padroni come profitto, per poi essere o reinvestito per produrre ulteriore denaro o usato per comprare piscine o pellicce o che altro.

Per far sì che ciò avvenga, deve essere creata una classe di persone che non possieda niente che potrebbe essere utilizzato per produrre denaro, come ad esempio gli uffici, le fabbriche, i terreni agricoli o altri mezzi di produzione. Essa deve quindi essere costretta a vendere la propria capacità lavorativa per poter comprare i beni ed i servizi essenziali di cui necessita per sopravvivere. Questa classe è la classe lavoratrice.

Perciò ad un estremo dello spettro c’è questa classe, con nient’altro da vendere se non la propria forza lavoro. All’altro estremo, ci sono coloro che possiedono il capitale necessario ad assumere lavoratori che gli permettano di espandere ulteriormente il proprio capitale. Gli individui che vivono all’interno della società rientrano in un qualche punto tra questi due estremi, ma ciò che è più importante da un punto di vista politico non è tanto la posizione degli individui ma la relazione sociale tra le classi.

La classe lavoratrice

Dunque la classe lavoratrice, o “proletariato”, come viene chiamata a volte, è la classe che per sopravvivere è costretta a lavorare in cambio di un salario, o a chiedere sussidi se non riesce a trovare lavoro o se siamo troppo malati o vecchi per lavorare. Vendiamo il nostro tempo e le nostre energie a un padrone per soddisfare il suo interesse.

Il nostro lavoro è il fondamento di questa società. Ed è il fatto che questa società si basa sulla nostra fatica, mentre allo stesso tempo ci spreme continuamente in modo da massimizzare i profitti, che la rende vulnerabile.

La lotta di classe

Quando siamo al lavoro, il nostro tempo e la nostra attività non ci appartengono. Dobbiamo obbedire agli orari prefissati, ai cartellini, ai dirigenti, alle scadenze e agli obiettivi dell’impresa.

Il lavoro occupa la maggior parte delle nostre vite: spesso vediamo i nostri capi più di quanto vediamo i/le nostr* amic* o partner. Anche quando ci sono parti del nostro impiego che apprezziamo, lo vediamo come qualcosa che ci è estraneo, sul quale abbiamo ben poco controllo. Questo è vero sia che ci riferiamo alle questioni pratiche del lavoro concreto che svolgiamo, sia che ci riferiamo all’ammontare di ore di lavoro, di pause, di tempo libero ecc.

Un lavoro che ci viene imposto in questo modo ci induce a ribellarci.

I datori di lavoro e i padroni vogliono estrarre la massima quantità di lavoro da noi, per il maggior tempo possibile e per la paga più bassa. Noi, d’altra parte, vogliamo essere in grado di goderci le nostre vite: non vogliamo essere troppo carichi di lavoro e vogliamo lavorare per meno ore e per una paga più alta.

Questo antagonismo è centrale nel capitalismo. Tra queste due parti è un continuo tira e molla: i datori di lavoro tagliano le paghe, incrementano le ore di lavoro e aumentano i ritmi. Ma noi cerchiamo di resistere: sia di nascosto e individualmente, prendendocela comoda, ritagliandoci momenti in cui poter prendere una pausa e scambiare due parole coi colleghi, dandoci per malati, lasciando prima il posto di lavoro. Oppure possiamo resistere apertamente e collettivamente con scioperi, rallentamenti nella produzione, occupazioni, ecc.

Questa è la lotta di classe: il conflitto tra coloro di noi che sono costretti a lavorare per un salario e i nostri padroni e governi, a cui ci si riferisce spesso con il termine di classe capitalista, o “borghesia” in gergo marxista.

Resistendo all’imposizione del lavoro, affermiamo che le nostre vite sono più importanti dei profitti dei nostri padroni. Ciò attacca la vera natura del capitalismo, nel quale la ragione più importante per fare ogni cosa è il profitto, e punta alla possibilità di un mondo senza classi e senza mezzi privati di produzione. Siamo la classe lavoratrice che resiste alla propria esistenza. Siamo la classe lavoratrice che lotta contro il lavoro e le classi.

Oltre il luogo di lavoro

La lotta di classe non avviene solamente sul luogo di lavoro. Il conflitto di classe si manifesta in molti aspetti della vita.

Per esempio, un’abitazione accessibile è qualcosa che riguarda tutti i lavoratori. Tuttavia, accessibile per noi significa poco redditizia per loro. In un’economia capitalista, spesso ha più senso costruire condomini di appartamenti di lusso, anche se decine di migliaia di persone sono senzatetto, piuttosto che costruire abitazioni nelle quali possiamo permetterci di vivere. Perciò le lotte per difendere le case popolari o per occupare proprietà disabitate nelle quali vivere, sono parte della lotta di classe.

In modo analogo l’assistenza sanitaria può rivelarsi un luogo del conflitto di classe: i governi e le aziende private cercano di ridurre le spese sanitarie con tagli ai bilanci e introducendo ticket sui servizi in modo da far gravare l’onere dei costi sulla classe lavoratrice, laddove noi vogliamo le migliori cure mediche al più basso costo possibile.

La “classe media”

Mentre gli interessi economici dei capitalisti sono in diretta contrapposizione a quelli dei lavoratori, una minoranza della classe lavoratrice se la passa meglio del resto o possiede un qualche potere sul resto dei lavoratori.

Quando si parla di storia e di come avviene il cambiamento sociale, per comprendere il comportamento di gruppi differenti può essere utile riferirsi a questa parte del proletariato con il termine di “classe media”, nonostante questa non costituisca una classe economica distinta.

La lotta di classe può talvolta essere fatta deragliare permettendo la creazione o l’espansione di una classe media: Margaret Thatcher incoraggiò la casa di proprietà vendendo a basso costo le case popolari nel Regno Unito durante le grandi lotte degli anni ’80, perché sapeva che i lavoratori sono meno propensi a scioperare se hanno un mutuo, e permettendo ad alcuni lavoratori di migliorare le proprie condizioni su un livello individuale, anziché collettivo; mentre in Sud Africa la creazione di una classe media nera è servita a sviare la lotta dei lavoratori quando l’apartheid è stata rovesciata, consentendo una limitata mobilità sociale e dando ad alcuni lavoratori neri una posizione nel sistema.

I padroni cercano sempre qualsiasi modo per dividere la classe lavoratrice, sia materialmente che psicologicamente, come ad esempio attraverso scale salari o status professionali, di razza e di genere.

Vorremmo sottolineare di nuovo che utilizziamo queste definizioni di classe per comprendere le forze sociali che agiscono nella nostra società, e non per applicare etichette agli individui o per determinarne il comportamento in determinate situazioni.

Conclusioni

Parlare di classe in termini di politica non è una questione di poco conto, ma a che fare con i conflitti che stanno alla base e che definiscono il capitalismo: chi di noi deve lavorare per vivere contro coloro che traggono profitto dal lavoro che facciamo. Lottando per i nostri interessi e per i nostri bisogni contro le imposizioni del capitale e del mercato, poggiamo le basi per un nuovo tipo di società, una società fondata sul soddisfacimento diretto dei nostri bisogni: una società comunista libertaria.

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