Lavoro: un'introduzione

La breve introduzione di libcom.org al lavoro, quello che pensiamo sia sbagliato e ciò che noi, come lavoratori, possiamo fare a questo proposito.

Submitted by Ed on June 4, 2017

Cosa non va nel lavoro?

Per la maggioranza di noi, gran parte delle nostre vite sono dominate dal lavoro. Anche quando non stiamo specificatamente lavorando, viaggiamo per lavoro, ci preoccupiamo per il lavoro, proviamo a riposarci dal lavoro nell'ottica di tornarci il giorno successivo, oppure cerchiamo solamente di non pensarci.

O ancora peggio non abbiamo un lavoro e la nostra maggiore preoccupazione è di trovarne uno. Oppure siamo una di quelle persone -principalmente donne- che badano alla casa o fanno lavori di cura che non contano per nulla come impieghi pagati.

Per molti di noi, non importa che lavoro facciamo, ma necessitiamo di denaro con cui vivere, e alla fine del mese i nostri conti correnti sono a mala pena diversi dal mese scorso. Passiamo così i nostri giorni controllando gli orologi, facendo il conto alla rovescia dei minuti che mancano prima di poter andare a casa, dei giorni prima del week-end, dei mesi prima delle vacanze…

Persino per quelli di noi che hanno un impiego in campi che gli piacciono, non controlliamo il nostro lavoro: è esso a controllare noi, e lo viviamo così come un qualcosa di alieno.

La maggior parte di noi non può decidere a che ora recarsi al lavoro o quando andarsene. Non ne controlliamo la tranquillità o il volume, che cosa produciamo o che servizi diamo o come lo facciamo.

Per esempio, a degli infermieri potrebbe piacere occuparsi dei propri pazienti, ma essere frustrati per carenza di posti letto, personale insufficente, turni punitivi e per l' essere arbitrariamente bersagliati dall'amministrazione; così come delle designers potrebbero apprezzare di essere creative, ma vedere la propria creatività ingabbiata: non verrebbe infatti dato libero sfogo alla possibilità di innovare come potrebbero volere, spesso per dover invece copiarea tutti gli effetti prodotti esistenti, che i loro capi sanno di poter vendere.

Paradossalmente, mentre milioni di persone sono sovraccariche di lavoro, appena in grado di far fronte a suoi pesanti carichi e alle sue lunghe ore, milioni di altre sono disoccupate e ne cercano disperatamente uno.
Globalmente, milioni di persone ogni anno rimangono uccise sul lavoro, mentre milioni di altre si ammalano e centinaia di milioni restano infortunate.

Inoltre, molto lavoro, magari estremamente difficile, noioso e/o pericoloso per i lavoratori e distruttivo per l'ambiente, non è nemmeno socialmente utile. Come nel manifatturiero, dove l' obsolescenza programmata fa si che i prodotti si rompano per far sì che le persone ne acquistino di nuovi, o intere industrie come quelle commerciali e pubblicitarie che esistono solo per persuadere a comprare più prodotti e lavorare di più per farlo.

Molti altri lavori utili sono sprecati per supportare attività socialmente inutili, come la produzione energetica usata per alimentare call center di telemarketing, la produzione di cosmetici e prodotti medici fasulli o l'industria delle armi, il cui unico prodotto è la morte.

Mentre automatizzazione, meccanizzazione e produttività incrementano continuamente, ore e anni di lavoro non diminuiscono. Infatti, in molti luoghi stanno aumentando, così come l'età pensionabile viene alzate e le ore di lavoro aumentate.

Perchè il lavoro è così?

Se ci sono così tanti problemi con il lavoro, perchè è così?

La ragione è semplice: viviamo in un'economia capitalista, dove questo sistema determina come il lavoro sia organizzato.

Come sottolineato nella nostra introduzione al capitalismo, l'essenza primaria dell'economia capitalista è l'accumulazione; denaro -il capitale- investito per diventare ancora più denaro.

E ciò è reso possibile dal nostro lavoro, che è la base dell'economia.

La base è che il nostro lavoro aggiunge valore al capitale iniziale, e il valore che aggiungiamo è maggiore dei nostri salri. Questo plusvalore si traduce nella crescita del capitale iniziale, che alimenta i profitti e la propria espansione.

Più bassi sono i salari, più duro lavoriamo e più lunghe sono le nostre ore, maggiore è il plusvalore. Questo spiega perchè i datori di lavoro del settore privato e pubblico e persino nelle cooperative cerchino continuamente di farci lavorare di più e più a lungo per paghe minori.

La disoccupazione di massa serve a mantenere bassi i salari di lavoratori dipendenti oberati di lavoro, poichè chi non ha paura di venir sostituito da chi è disoccupato, può chiedere stipendi migliori, migliori condizioni e orari lavorativi più brevi (questo è il motivo per cui il governo semplicemente non pone fine alla disoccupazione riducendo la lunghezza massima della settimana lavorativa).

Le imprese che sottraggono il maggior plusvalore -e pertanto i maggiori profitti e la maggiore espansione- hanno successo, mentre quelle che non lo fanno, falliscono.

Pertanto, se una compagnia o un'industria fanno profitto,crescono, e questo senza riguardi di ciò che è socialmente necessario, se è dannoso per l'ambiente o uccide i propri lavoratori.

Questa crescita si basa sul lavoro gratuito, come i lavori domestici o di cura, fra cui la riproduzione dei lavoratori nella forma di far nascere e crescere bambini -la prossima generazione di lavoratori- ed essendo a disposizione della forza lavoro corrente: fisicamente, emotivamente e sessualmente. Questo lavoro gratuito è perlopiù portato avantu da donne.

Cosa possiamo fare in merito?

Anche se la natura stessa del lavoro è determinata soprattutto dal sistema economico sotto cui viviamo, ci sono cose che possiamo fare -e facciamo- qui e ora come lavoratori per migliorare la nostra situazione.

Se il nostro lavoro è la base dell'economia, nonchè la base di profitti e crescita, in fin dei conti possediamo il potere di interromperlo (to disrupt it?), se non addirittura di prenderne infine il controllo per noi stessi.

Tutti i giorni resistiamo all'imposizione del lavoro, talvolta in modi piccoli, invisibili e individuali: di quando in quando arriviamo tardi, usciamo presto, rubiamo momenti per parlare con colleghi e amici, ci prendiamo il nostro tempo, ci diamo malati…

Mentre talvolta resistiamo in modi in modi più ampi, collettivi e conflittuali.

Attraverso azioni dirette, come smettendo di lavorare -ovvero scioperando-, blocchiamo gli ingranaggi della produzione e impediamo che i profitti vengano fatti; in questo modo possiamo difendere le nostre condizioni e far leva sui nostri capi per ottenere miglioramenti.

La classe lavoratrice unita, includendo disoccupati e chi fa lavori gratuiti, può lottare per migliorare altre condizioni, per esempio per un migliore welfare o contro il rincaro dei prezzi o di tasse regressive [tasse che aumentano per i redditi più bassi e diminuiscono per quelli più alti].

Nel 1800, nei paesi occidentali, le ore lavorative si aggiravano fra 12-14 ore al giorno, per sei o sette giorni alla settimana, in terribili condizioni senza vacanze o pensioni.

Affrontando l'enorme repressione dei padroni e dei governi, i lavoratori organizzatisi da sé, hanno lottato per decenni attraverso scioperi, occupazioni, lavorando con lentezza e persino rivolte armate e tentativi rivoluzionari. E infine hanno conquistato le condizioni molto migliori che la maggior parte di noi ha oggi: il fine settimana, vacanze pagate, orario di lavoro più corto…

Chiaramente, fuori dall'occidente, molti lavoratori hanno oggi esperienza di quelle condizioni "Vittoriane" e stanno attualmente lottando contro di esse.

Se ci organizziamo per affermare i nostri bisogni rispetto all'economia, possiamo migliorare ulteriormente le nostre condizioni. E se non lo faremo esse verranno erose fine a tornare al livello del 1800.

Conclusioni

Organizzandoci assieme, non solo miglioriamo le nostre vite nell'immediato, ma possiamo porre le fondamenta per un nuovo modello di società.

Una società dove non dover lavorare con lo scopo di far profitti che non vedremo mai o costruire un'economia "florida" che non adempie ai bisogni umani, ma dove poterci organizzare collettivamente per produrre beni e servizi necessari, come i lavoratori han fatto seppur brevemente in Russia nel 1917, in Italia nel 1920, in Spagna nel 1936 e in altri luoghi ancora, dove ci liberiamo del lavoro inutile e rendiamo tutti i compiti necessari il più possibile facili, piacevoli e interessanti.

Una società comunista libertaria.

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