Ambiente: un'introduzione

Una sintesi ed esame della crisi ambientale e delle sue cause, e come pensiamo che i problemi possano essere risolti.

Submitted by Ed on August 23, 2017

La Terra sta affrontando una crisi ambientale che non ha precedenti nella storia umana. Questa crisi è causa di grandi sofferenze per l’umanità e, se continua, ne minaccia la sopravvivenza sul pianeta.

Problemi ambientali

I problemi ambientali attualmente più dannosi nel mondo sono:

  • Inquinamento atmosferico: causa il cambiamento climatico, un aumento diffuso delle temperature che modificherà violentemente gli andamenti climatici causando inondazioni, siccità e malattie in grado di uccidere milioni di persone. L’inquinamento atmosferico causa anche la distruzione dello strato dell’ozono (che agisce da filtro per i raggi solari più pericolosi e cancerogeni) e la diffusione di malattie respiratorie e non, che, secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, uccidono più di 6 milioni di persone all’anno.
  • Rifiuti solidi: gli ambienti acquatici e terrestri vengono avvelenati dallo scarico di rifiuti industriali dannosi (come il mercurio e le scorie nucleari). Inoltre, l’utilizzo di materiali non biodegradabili nei prodotti e nel packaging hanno ridotto molte aree del mondo in vaste discariche, che avvelenano e danneggiano le persone.
  • Erosione del suolo: è il risultato di fattori quali l’utilizzo di fertilizzanti chimici, pesticidi etc., insieme alla deforestazione e a utilizzi impropri di questa risorsa. Per queste ragioni il suolo si erode più velocemente di quanto non venga formato con i processi naturali, contribuendo alla povertà delle aree rurali. Alcuni scienziati sostengono che entro il 2030 rimarrà solo il 20% delle foreste mondiali, delle quali il 10% in condizione degradata.
  • Estinzione: piante e animali si stanno estinguendo con un ritmo più veloce di ogni altro periodo dopo la scomparsa dei dinosauri. Questa perdita di specie erode l’ecosfera da cui tutta la vita dipende.

    Cosa c'è dietro la crisi ambientale?

    Spesso si sente dire che la ragione per cui il mondo versa nelle attuali condizioni è che ci sono troppi esseri umani, o che la colpa è delle tecnologie moderna.

    Tuttavia, molte delle pratiche più dannose per l’ambiente non vengono compiute dalla maggioranza, né per il suo benessere, e non è vero che gran parte delle tecnologie industriali moderne siano intrinsecamente distruttive.

    Il problema non è che ci siano troppe persone o che la tecnologia sia intrinsecamente distruttiva. Il problema è nella società – in particolare nell’industria – per come è gestita oggi. In particolare, l’uso di combustibili fossili come il petrolio, il carbone o la benzina che attraverso l’emissione di diossido di carbonio (CO2) causano il riscaldamento globale che sta indirizzando il pianeta verso il disastro. Tuttavia, non deve necessariamente essere così.

    Molte tecnologie e sostanze dannose possono essere rimpiazzate. Invece di impiegare combustibili fossili, si può produrre energia da fonti rinnovabili quali il vento o la luce del sole. Le plastiche basate su prodotti petrolchimici non biodegradabili (usate ad esempio per i sacchetti o le borse di plastica) possono essere sostituite dalle plastiche basate sull’amido vegetale (che si disgregano senza problemi se lasciate all’aperto).

    Vivere in maniera ecosostenibile non significa necessariamente dover abbassare la qualità della vita. La causa della crisi ambientale non si trova nelle persone comuni che lasciano le luci accese per troppo tempo o usano un tipo di sapone sbagliato. Sono il sistema di produzione volto al profitto e gli sprechi che ne derivano ad essere insostenibili. La causa vera per la crisi ambientale va cercata nel capitalismo, nei governi e nella società che ha creato questi poteri.

    [h3]Capitalismo[/h3[
    Il capitalismo è un sistema di produzione incentrato sulla competizione di mercato e sul profitto, fonte di un’enorme quantità di rifiuti.

    Se le aziende vogliono sopravvivere alla competizione, devono massimizzare i loro profitti. Per massimizzare i profitti, bisogna minimizzare i costi. Così, come i salari e gli stipendi dei lavoratori, anche la protezione dell’ambiente e lo smaltimento dei rifiuti rappresentano un costo da tenere il più basso possibile.

    L’installazione di apparecchiature di sicurezza e il monitoraggio dell’uso di sostanze nocive rappresentano un costo e una riduzione del possibile profitto. Risulta più conveniente scaricare questo costo sulla società, in forma di inquinamento.

    Questo senza contare tutto ciò che viene prodotto in modo inefficiente, e gli sprechi che ne derivano. Un’enorme quantità di prodotti sono costruiti per rompersi, in modo da mantenere alte le vendite (la cosiddetta “obsolescenza programmata”). Beni inutili o inefficienti vengono propinati e venduti grazie a una forte pressione pubblicitaria, e spesso anche grazie alle politiche dei governi (come per le macchine private al posto di trasporti pubblici su larga scala). In più, le pubblicità ci spingono a sbarazzarci di oggetti ancora utili ma non più alla moda per comprarne altri.

    Non si può neanche dire che tutti i beni prodotti nel sistema capitalistico vengano consumati dalle persone comuni. A volte le aziende producono, per un dato prodotto, più di quanto possa essere venduto sul mercato, il che porterebbe al collasso dei prezzi e alla recessione. La soluzione dei capi è di distruggere o accumulare i beni “extra”, piuttosto che distribuirli a chi ne ha bisogno. Nel 1991, 200 milioni di tonnellate di grano vennero immagazzinate e rimasero invendute per preservare i prezzi. Tre milioni di tonnellate sarebbero bastati ad evitare la carestia in Africa per quell’anno – e la situazione attuale non è differente, dato che ogni anno circa la metà della produzione di cibo mondiale viene sprecata.

    Lo stato

    In una società capitalista, il successo o il fallimento di uno stato dipendono dal successo del capitalismo al suo interno. Di conseguenza, promuovere il profitto e la crescita dell’economia è il compito principale di ogni stato nella società capitalista.

    Lo stato non emanerà di propria volontà leggi per la protezione dell’ambiente e contro gli interessi delle aziende, perché non vuole diminuirne i profitti (e le sue entrate fiscali).

    In più, spesso si teme che forti leggi a difesa dell’ambiente rendano i Paesi “non attraenti per gli investimenti”. Per esempio, nel 1992 la presenza di grossi interessi in ballo in Olanda causò il blocco di una proposta di tassazione sulle emissioni di carbonio, in seguito alla minaccia di trasferire gli investimenti in altri paesi.

    Stando così le cose, l’ambiente non può essere salvato attraverso lo stato o l’elezione di un partito dei Verdi. I Verdi, come tutti i partiti di opposizione, fanno discorsi radicali finché non arrivano al potere, dopodiché si comportano come gli altri.

    In Germania, nel 2001, il partito dei Verdi era parte del governo: condannò le proteste contro il trasporto di scorie nucleari e fu congiuntamente responsabile della mobilitazione di 17000 poliziotti contro i residenti in protesta.

    Nel 2007 il partito dei Verdi Irlandesi, che in precedenza aveva supportato la campagna “Shell to Sea” contro l’estrazione di gas naturale nel mare a nord-ovest dell’Irlanda, entrò al governo. Cambiarono in fretta la loro posizione, e un loro membro supervisionò il progetto finché rimase in carica.

    Classe

    A un livello generale appare chiaro che la crisi ambientale riguarda tutti, e minaccia la sopravvivenza dell’intera razza umana.

    Tuttavia, per quanto la crisi ambientale sia una minaccia globale, le persone della classe lavoratrice vengono colpite più duramente. Siamo noi quelli che devono fare i lavori più pericolosi legati al degrado dell’ambiente e vivere nelle zone danneggiate dall’inquinamento, mentre chi ha più soldi può permettersi di traslocare.

    Per quanto sul lungo periodo una crisi ambientale globale interessi tutti, non tutti condividono un interesse immediato nel combatterla: i capi e lo stato guadagnano con i processi che danneggiano l’ambiente. Solo la classe lavoratrice ha un interesse diretto e immediato a difendere l’ambiente.

    I dibattiti mainstream di “tutela dell’ambiente contro posti di lavoro” devono essere rifiutati. Prima di tutto, perché quelli che lavorano in industrie distruttive per l’ambiente spesso vivono nelle stesse città che vengono danneggiate da quelle industrie. Quindi la loro salute, e quella dei loro amici e familiari, è in gioco, sia sul lavoro che a casa.

    In secondo luogo, perché l’interessamento di stato e datori di lavoro verso l’ambiente è assolutamente falso. Quando potranno guadagnare, sminuiranno gli aspetti ambientali dicendo che forniranno posti di lavoro. Quando ci saranno meno guadagni e l’importanza economica delle attività diminuirà, chiuderanno tutto dichiarando quanto fosse dannoso per l’ambiente e lasciando tutti in mezzo alla strada, come si è visto nel caso dell’ILVA.

    Come si può risolvere il problema?

    Poiché il capitalismo è un sistema intrinsecamente distruttivo, l’unico vero, definitivo modo di fermare la crisi ambientale è creare una società nuova, basata sulle necessità dell’uomo e non sul profitto.

    Tuttavia, questo non vuol dire che non si possa fare nulla nel frattempo. La crisi ambientale è stata generata dal capitalismo, dunque deve essere affrontata con una sfida a quest’ultimo. E, poiché lo stato è parte di questo sistema, solo l’azione di massa e dal basso può essere un metodo efficace.

    Per fare questo, l’ambientalismo deve relazionarsi ai bisogni quotidiani della nostra classe. È per questo che non vediamo utilità nell’ambientalismo astratto e separato dalla lotta di classe.

    Sul posto di lavoro

    In quanto produttori di tutto il benessere della società, i lavoratori sono in grado, attraverso l’azione nei punti di produzione, di brandire un’arma potente contro i capi.

    Dato che una buona parte dei danni all’ambiente derivano dall’industria, e che i lavoratori e le comunità sono le vittime principali dell’inquinamento, le lotte dei lavoratori per la salute e la sicurezza sono, spesso, la prima linea di difesa per l’ambiente.

    Ponendo il monitoraggio dei danni ambientali come parte della sanità e della sicurezza, colleghiamo la lotta per migliori condizioni di lavoro, la salute (sul lavoro e non) e l’ambiente. Possiamo esporre l’uso industriale di sostanze tossiche, pretendere l’utilizzo di prodotti riciclati e trovare delle alternative a prodotti dannosi per l’ambiente.

    Se hanno abbastanza potere sul lavoro, i lavoratori possono anche imporre la tutela dell’ambiente a industrie inquinanti. Negli anni ’70, per esempio, i lavoratori edili australiani imposero i “green bans”, rifiutandosi di lavorare a progetti dannosi per l’ambiente.

    Nelle comunità

    Una buona parte dell’attività ambientalista della classe lavoratrice si svolge a livello di comunità, ad esempio con le campagne per il miglioramento dei servizi di trasporto pubblici, cosa che ridurrebbe il bisogno di macchine private da parte degli individui.

    Un altro esempio di attività è l’interruzione di progetti dannosi per l’ambiente, prima che vengano sviluppati o costruiti. Nei primi anni ’90, nel Regno Unito, proteste contro la costruzione di strade si susseguirono in tutto il paese. Anche se molte furono infruttuose, il livello di sostegno da parte delle comunità fu tale che nel 1995 ben 300 progetti di strade, che avrebbero dovuto attraversare aree naturali o comunità, vennero cancellati.

    Nel 2012 gli abitanti di Shifang, nell’ovest della Cina, costrinsero il governo a rinunciare a un piano di costruzione di un enorme stabilimento per la lavorazione delle leghe del rame che molti temevano avrebbe portato a gravi problemi di inquinamento e salute.

    In Italia ci sono, attualmente, molti esempi di attività ambientalista dei lavoratori, come avviene nel movimento No TAV, che sta combattendo contro la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità attraverso le montagne del Piemonte, e che coinvolge intere comunità impegnate nell’azione diretta per la loro sopravvivenza.

    Conclusione

    Il degrado ambientale sta distruggendo larghe aree del pianeta e minacciando la sopravvivenza di tutte le specie, inclusa la nostra. Tuttavia questa situazione non è tanto il risultato di scelte sbagliate fatte dagli individui, quanto dell’organizzazione della società.

    Le aziende massimizzano i profitti se non devono preoccuparsi dell’ambiente, mentre i governi incoraggiano gli investimenti se non provano a imporre leggi severe.

    Il risultato è che la difesa dell’ambiente ricade sulla classe lavoratrice, dato che siamo gli unici che hanno un interesse immediato nel difenderlo. E mentre possiamo usare l’azione diretta per combattere la distruzione dell’ambiente dovremo, infine, usare la nostra forza collettiva per costruire un mondo nuovo, basato non più sull’implacabile ricerca di profitto ma sul soddisfacimento dei bisogni dell’uomo, compreso quello di un ambiente sano e salubre.

    Foto: Giuseppe Milo.

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